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Argo, una storia tragicamente vera

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Argo, una storia tragicamente vera

 

Il 24 febbraio è stato consacrato come Miglior Film, ricevendo il premio più ambito, l’Oscar. Inoltre si è aggiudicato la statuetta per la Miglior sceneggiatura non originale e per il Miglior montaggio.
Stiamo parlando di Argo, film statunitense diretto ed interpretato da Ben Affleck che, dopo Will Hunting – Genio Ribelle e diverse vicissitudini personali, torna a calcare il palco degli Academy Awards.
La pellicola, prodotta da George Clooney, era in lizza per la vittoria insieme a film che hanno sbancato ai botteghini mondiali – è il caso di Django Unchained di Quentin Tarantino, di Les Misérables di Tom Hooper o di Vita di Pi di Ang Lee (vincitore, in compenso, come Miglior Regista) – a quello che sembrava un successo annunciato, ovvero Lincoln del mostro sacro Steven Spielberg, e ancora insieme ad Amour, vincitore della Palma d’Oro a Cannes, nel 2012.
Eppure Argo ha saputo sbaragliare la concorrenza raccontando una storia vera.
Nel corso di 120 minuti lo spettatore assiste ai tragici avvenimenti accaduti durante la rivoluzione iraniana del 1979, ed in particolare alla vicenda di sei cittadini americani che, sfuggiti all’attacco dell’ambasciata americana di Teheran, si rifugiano presso l’abitazione dell’ambasciatore del Canada.
Al governo americano viene affidato, quindi, il compito di mettere a punto una strategia che permetta il rimpatrio dei sei prima che i rivoluzionari iraniani si accorgano della loro fuga. A Tony Mendez (Ben Affleck), agente della CIA, l’arduo compito di trovare questa soluzione.

Ed è così che Mendez vola ad Hollywood, dove insieme al make-up artist John Chambers (John Goodman) e al produttore cinematografico Lester Siegel (Alan Arkin) mette in piedi un falso film, Argo, da ambientare in Iran. Lo scopo è quello di ottenere, dal Ministero della cultura iraniano, il permesso di entrare nel Paese e successivamente lasciarlo portando con sé i sei ospiti dell’ambasciatore canadese spacciandoli per operatori cinematografici.
In qualità di produttore della pellicola l’agente segreto vola a Teheran, dove raggiunge i fuggitivi cui consegna, insieme ai passaporti canadesi, delle false identità (regista del film, sceneggiatrice, scenografa, ecc.).
Incurante delle ritrosie del governo americano e sfuggendo ad un ultimo e pericoloso controllo da parte delle forze armate iraniane, Mendez riesce a compiere la sua missione.
Tensione e suspence non mancano, e tengono inchiodati alla poltrona fino agli ultimi minuti del film. Ma l’altra grande qualità dell’opera di Affleck sta nella recitazione, minimale e pacata, che ben si sposa con una ricostruzione perfetta del momento storico raccontato.
Insomma, un Oscar meritato appieno, soprattutto perché si tratta di un film in cui non viene celebrato il mito americano, ma anzi in alcuni momenti si intravede chiaramente la sua fragilità.