Home Cultura Tristi Tropicals, Gianfranco Marziano e il sottobosco dei quartieri

Tristi Tropicals, Gianfranco Marziano e il sottobosco dei quartieri

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Nell’iniziare a scrivere una recensione su Tristi Tropicals di Gianfranco Marziano mi sono trovata di fronte a un dilemma euristico. Il problema più grave è che, in qualche modo, lo stesso Marziano possa un giorno leggere in qualche modo questa recensione e applicare ad essa il suo spirito dissacrante e supercritico. E così me lo immaginavo, in una intervista su un canale salernitano a caso, dire: «Addirittura mi hanno fatto una recensione, ‘nu schif ‘i recensione!». La paura non sarebbe però dettata da una possibile ferita narcisistica, quanto piuttosto da sapere che, se lo dice il “Marziano”, genio indiscusso del panorama intellettuale e controcorrente salernitano, c’è buona possibilità che la recensione veramente sia brutta, il che non sta bene.

Altro problema metodologico stava nel fatto di dover scegliere se analizzare il testo escludendo dall’orizzonte il rapporto con l’Autore, esso stesso “personaggio”, molto conosciuto, amato o odiato, o se immergersi invece nel mondo di Marziano, nelle sue bestemmie, nelle sue vivaci volgarità, insomma se abbandonarci ad una ermeneutica che tenga ben presene, ad ogni rigo, chi è che sta narrando i fatti. L’ultimo problema poi, sarebbe quello di rendere nella recensione il tono umoristico e leggero che Marziano ci trasmette, senza cadere in atteggiamenti paludati e da maestrina o, all’opposto, in eccessi di scurrilità andante.

Pensare di poter leggere questo libro senza conoscere chi è Gianfranco Marziano, cosa fa, cosa scrive e come si muove, mi è parsa davvero una idea poco saggia. In ogni pagina infatti possiamo leggere le sue parole come se le ascoltassimo dalla sua voce, i dialoghi sono da sbellicarsi, soprattutto se li si percepisce come recitati dall’Autore. Ciò che infatti non manca assolutamente a questo romanzo è una voce e un tono, voce e tono che scorrono all’unisono e che convincono il lettore.

Le storie di cui Marziano parla sono storie di disgraziati, di personaggi drammaticamente esistenti, che popolano i bar delle periferie urbane e dei quartieri. Si tratta di un universo costellato di disagio psico-sociale, di fallimenti nella vita, nell’amore e negli affetti in genere, dove vige la legge dello scrocco di una birra, di una sigaretta, ed eventualmente della badante dell’est della madre ammalata di un amico.

Lo stile di scrittura, i dialoghi e il tono dell’Autore, rendono questi personaggi spaventosamente più reali di quanto non già essi siano: ogni anomalia esistenziale, ogni tic, ogni istanza gergale, sono prontamente registrati dallo sguardo indagatore di Marziano.

L’assoluta contemporaneità del testo è poi data anche dall’inserimento delle vicende che legano i protagonisti alla tecnologia e ai social network, Facebook sopra tutti. Gli uomini descritti sono disoccupati nullafacenti che passano il tempo tra il bar, tra qualche saltuario lavoretto sottopagato e che, in età oramai quasi avanzata, girano in comitiva come fossero ancora adolescenti, e con le stesse istanze ormonali di tredicenni. Le donne sono anch’esse delle fallite, capaci di innamorarsi di un omosessuale, di trovare lavoro da ubriache in un negozio biologico in chiusura per fallimento.

Tra i vari personaggi che costellano il cielo dei falliti del Marziano, il lettore prende a cuore la vicenda di Gerardo, «alias Jerry, alias Celardo». I comportamenti e le disavventure di Celardo sono tutte legate al suo cercare una donna e allo spaurimento di restare solo, ma è tutto un tentativo fallito o abortito: merito di tali fallimenti anche i suoi amici e la vecchia zia. La prima apparizione di Celardo avviene così:

«Era cristallizzato in una sorta di primo pomeriggio perenne di una di quelle domeniche novembrine umide, con quella pioggerellina invisibile e ingannevole che ti fa scendere di casa senza ombrello e poi ti martella con discrezione».

Tutti i personaggi che affollano il testo sono descritti in maniera abile e sicura, e anche se fanno da comparse, non appesantiscono il romanzo, ma lo completano, cominciando dalla prima donna che si incontra, una studentessa, tale Siria, la quale:

«Si era limitata unicamente a biascicare una sorta di cantilena a volume crescente basata unicamente su due assunti: 1) ma tu stai fuoriiiii! 2) ma tu stai maleee!»

Anche i dialoghi dove il tono si fa volgare e più scurrile, sono sempre comprensibili se si pensa a Marziano che legge le sue storielle sconce, e fanno ridere in ogni loro parte. Ma Marziano è anche capace di qualche pindarico volo; lo stile dissacrante, quotidiano e gergale lascia il posto a momenti di poesia:

«Nel frattempo si addormentò giusto per far passare quel tempo così inutile di cui non voleva avere coscienza»

Ciò che emerge è questa paura della solitudine che si trasforma in un maldestro arrabattarsi nelle situazioni, senza mai vero coraggio e senza sapersi decidere, preferendo il nulla o al massimo lo scorrere dei giorni greve e senza obiettivo, ad una presa di coscienza e di posizione.

Qualcosa di bello potrebbe accadere, ma nessuno in questo libro, e forse nella vita, tenta di impegnarsi per farlo succedere. Intanto il libro è finito, e il finale è tra i più amari che si possano leggere.