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San Matteo 2014, retrospettive di una processione

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San Matteo 2014, retrospettive di una processione

San Matteo 2014, cambia la tradizione e i cittadini insorgono: retrospettive di una processione fuori dal comune

Come ogni anno che dovrei arrivare presto, giungo inesorabilmente tardi. Senza intripparmi nell’inevitabile traffico pre-processione, decido di fermare l’auto al Parco Pinocchio. Guardo l’orologio: l’ora infonde flemma al mio passo vivace perché “tanto non ce la farò mai ad arrivare per le 18 e assistere, così, all’uscita delle paranze!”. Mi sorprendo a vedere molta, troppa gente che, nonostante l’ora tarda, si dirige comunque al Duomo.

240889214-San MatteoIo, dal canto mio, memore della precisione (18 in punto!) con cui gli altri anni i portatori hanno dato i busti in pasto ai fedeli in tripudio, me ne sto in piazza Portanova e lì mi preparo ad assistere all’avvenimento. Una signora dinanzi a me, con lo sguardo cospirativo e l’indole battagliera, comincia a lamentarsi del ritardo dei portatori. Mi adocchia e cerca di coinvolgermi nelle sue lamentele. Mi limito a sorriderle scostante, quasi avessi la sgradevole sensazione di far parte di un numero, possibilmente cospicuo, di persone che la signora stessa cerca di fidelizzare alla sua causa.

Mi sento scostare da una mano. Mi volto. Le dita grassocce, però, non cercano me. L’indice si pianta sulla scapola della signora. Lei si gira. Sembra chiedere conferma con lo sguardo. Il padrone della mano le regala un sorriso. Poi le sussurra, non così piano che le mie orecchie non possano sentire:<Amm fatt’ ‘o burdello! Mo stanno incominciando ad uscire.> Ridacchia istericamente e se ne va. La signora, come rispondendo ad un segnale convenuto, comincia a sbraitare:<Salerno è ‘a nostra, s’è sempre fatta accussì ‘a prucessione, e accussì s’adda continua’ a fare!>

Spunta, all’altezza della pasticceria Pantaleone, il ferro di cavallo granata con strisce gialle della prima paranza. Si applaude ma la signora continua ad inveire e a coinvolgere con veemenza i fedeli circostanti.

 Il primo busto si ferma per un periodo troppo lungo. Stavolta non è più la signora soltanto a dare in escandescenze. Un capannello di persone inizia a fischiare ogni prete, monaco e, più in generale, uomo di chiesa che si avvicina. I portatori, alle lamentele del gruppo sempre più nutrito, invogliano la folla a farsi sentire, a contestare la rivoluzione copernicana (la definizione, ovviamente, è nostra) del Vescovo “venuto da lontano”.

[ads2] Si intravede la seconda paranza che si ferma anch’essa per troppo tempo, infrangendo quella che doveva essere una continuità di sfilata necessaria ad espellere ogni contestazione che vi si potesse annidare. La signora, ormai tribuno della plebe, si aggrappa ad uno dei portatori e sembra tarantolata dal morso delle cento rivoluzioni che si sono succedute nel corso dei secoli.

Dalla mia postazione, non riesco a sentire cosa dice. So solo che, ad un certo punto, anche i secondi portatori esortano lei e la folla a contestare, a farsi sentire nei confronti di qualcuno chiatto (come mimano le mani incrociate a una certa distanza dal ventre). Dopo un minuto, dalle retrovie, arriva un ragazzo che urla di dover parlare col vescovo. La calca fa ressa attorno ai busti frattanto giunti. Un portatore, paonazzo e scarmigliato, dà voce stentorea ad un comando. In un attimo, braccia che non aspettavano altro, alzano le prime paranze, facendole ruotare ad angolo retto.

Quando, da lontano, spunta il sole sovversivo di San Matteo, non c’è alcun comando da impartire. I portatori lo innalzano già durante il tragitto, scatenando un putiferio di “urrà” e “bravi”.

In tutto questo, si materializza la figura paciosa del Vescovo.

Nemmeno il braccio miracoloso del Santo Patrono riesce a zittire la fiumana di fischi e ad arginare le messi di improperi e bestemmie virulente.

san_matteo_processione_salernoA fatica esco fuori dal bailamme, e mi materializzo all’ingresso del Duomo per aspettare l’arrivo della paranze. Nell’attesa, spezzoni di notizie (“In prossimità della Provincia, hanno poggiato i santi a terra”; “i portatori, finalmente, si sono ribellati e hanno ripristinato la processione di sempre”; “hanno detto che sono andati pure al Comune e il Sindaco sembrava quasi che li stesse aspettando”) riempiono i buchi neri della mia processione.

Ecco le paranze. Arrivano saltando, ballando, inchinandosi al fratello del portatore, all’amico del rione, alla donna che qualcuno di loro avrebbe voluto possedere, ma che invece se ne sta lì, meschina, sul sagrato del Duomo, mano nella mano con Pasquale il carrozziere.

Questa è la mia cronaca, frammentata e sconclusionata di un giorno di ordinaria follia.

Probabilmente il Vescovo avrebbe dovuto essere più cauto, e quindi più graduale, nell’apportare cambiamenti che sono connaturati, ormai, alla processione di San Matteo; certamente, la folla in buona fede, ha le sue ragioni per preferire un rito che conceda qualcosa di più al folklore. La sola cosa che non si può accettare è che qualche Masaniello d’infima lega, così come più di un portatore, per censo e per amicizia, del Santo, tengano in ostaggio un’intera città abbandonata dai personaggi che ne hanno sfruttato fino allo sfinimento la sua cassa di risonanza appena qualche anno prima.

E in quel carnevale furibondo del mese di luglio, in mezzo agli urli ubriachi della folla digiuna, continuava a suonare a stormo la campana di Dio, fino a sera, senza mezzogiorno, senza avemaria, come in paese di turchi (La libertà, Giovanni Verga)