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L’individuo mobile contemporaneo

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L’individuo mobile contemporaneo

In passato, quando le popolazioni erano più stabili, gli individui si abituavano rapidamente a uno stile di vita sedentario, rapportandosi solo con il proprio ambiente prossimo. Oggi è quasi scontato dire che l’individuo medio, (per lo meno quello occidentale e cioè il più prossimo a noi in termini di paragone), appartiene a gruppi sempre più diversificati e a luoghi transitori: si cambia casa, città, lavoro e contesto così frequentemente che questo cambia anche il tipo di relazioni sociali. Si arriva a conoscere più persone, però allo stesso tempo le relazioni che s’instaurano sono meno frequenti; anche per questo si può affermare che la mobilità è conseguenza e strumento della diversificazione sociale.

In questo senso, il luogo fisico occupato da un individuo descrive (o per lo meno influisce) la posizione che questo occupa nello spazio sociale: difatti una persona che non ha un luogo dove vivere sembra non possedere un’esistenza a livello sociale. Allo stesso modo non tutti hanno la possibilità di muoversi da un ambiente all’altro: dal lavoro alla famiglia, dalla casa alla strada, da situazioni formali a quelle informali. Chi non lavora ad esempio è automaticamente fuori da questi contesti, vive con persone del suo perimetro vitale e dipende da un’economia locale. Lo stesso succede con le periferie delle grandi città, dove gli abitanti generalmente si rapportano con persone dello stesso luogo, separato da quello del centro città. Si può affermare, quindi, che la stessa struttura spaziale crea per definizione differenze tra gli individui, e che raramente si percepisce la società gerarchizzata come la causa di queste differenze.

Se da un lato gli spazi fisici vissuti determinano le differenze sociali, dall’altro influiscono anche sul tipo di pensiero, percezione e categorizzazione delle cose. In questo modo le strutture sociali si convertono anche in strutture mentali. Non è un caso che il sociologo francese Pierre Bourdieu descrive lo spazio sociale come una delle forme più sottili di controllo e potere da parte della società. Quello che muove tutto il sistema di riferimenti spaziali e sociali, quello che definisce una persona secondo il luogo dove vive, è quindi il capitale. Chi non ne possiede si allontana fisica e simbolicamente da certi spazi. Sembrano nette le parole dello stesso Bourdieu quando dice che “la mancanza di capitale incatena in un luogo”.

Chi resta fuori da questo gioco crea concentrazioni in uno stesso spazio, formando una situazione generale di emarginazione. Se a questo si aggiunge la pressione generata dal mondo esterno non è difficile capire perché si produce un effetto migratorio, per il quale a chi vive in questi contesti economicamente sfavorevoli non resta altra soluzione che fuggire verso nuove mete.

La mobilità quindi, come risultato di questa situazione appena accennata, oggi sembra essere indispensabile. La mobilità rappresenta una delle più grandi conquiste economiche e sociali dell’età moderna e contemporanea. Per conquistare l’aspirato individualismo è necessario trasferirsi sempre più nel tempo (con la comunicazione e l’informazione) e nello spazio (con i mezzi di trasporto). Il fatto di essere mobili è un aspetto fondamentale per stare al passo con questo tipo di vita: più mobili si è, più possibilità si hanno, e allo stesso tempo si è quasi obbligati a essere mobili per trovarsi in condizione di poter scegliere. La mobilità è diventata necessaria, una sorta di diritto generico; l’urbanista americano Sorkin la chiama: “il diritto dei diritti”.

È un accesso al mercato del lavoro, le opportunità difatti sono direttamente proporzionali alla capacità di essere mobili, e quella di vedere il mondo e adattarsi a questo stile mobile di vita è anche quasi una volontà innata. Sembra non si possa più tornare a una vita basata nella stabilità fisica e sociale. L’essere umano, dal punto di vista del mondo occidentale, non è più un individuo costituito nella sua territorialità. In un mondo nel quale muoversi significa “vivere in questa epoca”, non esiste più la stabilità, e non perché non la vogliamo, o non la perseguiamo, ma semplicemente perché non sappiamo volerla e non abbiamo tempo per pensarci.

 

Alfonso D’Urso