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La migrazione verso il globale delle “città mondo”

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La migrazione verso il globale delle “città mondo”

Le prime avvisaglie di un cambiamento radicale del modello urbano risalgono al XVI secolo, quando iniziarono a pianificarsi i primi modelli di città con caratteristiche e materie proprie dello sviluppo economico e che iniziavano a dipendere dai processi di urbanizzazione. Oggi queste stesse caratteristiche che si traducono in informazione, comunicazione, mobilità e urbanismo, sono strutturate su scala mondiale, e quanto più planetaria diventa la rete di sistemi, più questa si digitalizza, uniforma e de-territorializza.

Riprendendo il filosofo Guattari, oggi “non si tratta di un centro localizzato, ma dell’egemonia di un arcipelago di città o, più esattamente, di sottoinsiemi di grandi città interconnesse attraverso mezzi telematici e informatici”.

Le caratteristiche della mobilità contemporanea hanno modificato, quindi, non solo lo stile di vita, ma anche la conformazione degli spazi urbani, percepiti come basici e necessari affinché si possano conformare con le esigenze del contesto vitale. Una conseguenza e allo stesso tempo una causa; perché se da un lato l’urbanismo attuale si adatta alle circostanze di vita, dall’altro è esso stesso causa di queste circostanze.

La storia della polis (dal greco anticoπόλις, “città”) è stata sempre vincolata alle tecniche di trasporto e conservazione di beni, così come di persone e di informazione. Queste tecniche costituiscono, oggi, il sistema di mobilità PIB: persone, informazioni, beni; sistema che interagisce con la città influenzandone la sua forma e l’organizzazione sociale.

Negli ultimi anni si è assistito alla nascita di una nuova tipologia di città, sviluppata come conseguenza dello sviluppo di questo sistema: una città che cresce più in la del luogo fisico associato ad essa. Esempi chiari sono i “nuovi” contesti urbani sorti degli Stati Uniti, dove gruppi di grattacieli si miscelano a centri commerciali, e autostrade interne si ramificano collegando diverse zone cittadine, creando un unico ambiente, il quale, osservato dall’alto risulta essere uno Skyline ininterrotto che, data la sua vastità, crea con le periferie un autentico cityscape.

Diversi architetti e urbanisti considerano, non a caso, la struttura attuale della città simile a quella del flusso della televisione, in cui si eliminano i tagli delle emissioni, percependo il visibile come appartenente a un unico senso continuo.

Considerando quindi questa struttura sociale, oggi si parla di “urbanizzazione del mondo e del vuoto”. L’urbanista e architetto americano Michael Sorkin definisce questo nuovo tipo di città con il nome di “Cyburbia”: quello che manca in queste città non si riferisce a luoghi fisici, ma agli spazi intermedi che danno senso alle forme.

Nelle città cosiddette “sviluppate” tutto sembra relazionarsi con tutto: si sono sacrificati gli spazi centrici per creare una struttura di mobilità e di consumo per un nuovo ordine urbano basato nel  flusso di persone e informazioni, che moltiplica la sensazione di poter scegliere quello che si vuol fare e dove si può andare.

Le conseguenze di queste evoluzioni sembrano essere drammatiche su larga scala, nonostante, come in ogni cosa, ci siano le dovute eccezioni. Altri studiosi e urbanisti, com’è il caso del francese Francois Ascher, considerano che la crescita della città mondo aiuti lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, e lo stesso accade invertendo i termini. Allo stesso modo non impedisce la mobilità fisica ma crea una nuova scala dell’organizzazione urbana.

“La società ipermoderna e la sua struttura di ipertesto generano iper-luoghi, spazi dove si possono svolgere differenti attività allo stesso tempo”.

In conclusione si può affermare quindi, in forma oggettiva, che la rete mondiale invisibile, la quale raggruppa le città cosiddette “sviluppate”, porta ad un’unificazione sia sul piano immateriale che sul piano fisico, estendendo l’urbanizzazione indefinitamente, ed espandendo quindi quel diritto generico attorno al quale sembra si muova tutto il resto: la mobilità.