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Fallimento delle aziende: il periodo precedente “concordato” può essere sospetto

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Fallimento delle aziende: il periodo precedente “concordato” può essere sospetto

Il periodo precedente la dichiarazione di fallimento può essere già sospetto di uno stato di sofferenza e quindi gli effetti della revocatoria fallimentare retroagiscono fino all’apertura del concordato (Tribunale di Monza, Decreto del 17.07.2014)

Fallimento

Il Concordato preventivo, a differenza del Fallimento, è il procedimento mediante il quale l’azienda è diciamo così ammessa ad un periodo di prova per valutare la possibilità di risolvere le proprie pendenze (rapporti di credito/debito) sotto la guida di un curatore nominato dal Tribunale. Trattasi perciò di una procedura avviata volontariamente dallo stesso imprenditore intenzionato a salvare la propria attività.

A tal proposito, però, il Tribunale di Monza, con Decreto del 17 luglio 2014, porta alla luce la circostanza sempre più frequente per la quale l’imprenditore che si trovi a chiedere il concordato predetto, dichiarando perciò di essere in uno stato di sofferenza economica ancora risolvibile, in realtà versi già in stato d’insolvenza cioè in una situazione che rende ormai impossibile attendere con regolarità i propri rapporti commerciali.

Il provvedimento in argomento tende a scongiurare proprio questo problema (o eventuale raggiro dell’imprenditore nel caso questi avesse agito così di proposito), retrodatando il periodo sospetto al momento in cui era stato aperto il concordato. In questo modo, tutto ciò che è stato fatto prima del fallimento rientra in quest’ultimo e quindi tutti i rapporti o la maggior parte di questi verrebbero risucchiati appunto nel fallimento.

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Questo è quanto si verifica sempre più spesso attesa la sempre maggior polverizzazione delle aziende italiane. A ciò, non contenti, si aggiunge anche altro perché più alta sarà la posta in gioco e maggiori saranno i tentativi truffaldini. Infatti, è sovente che il creditore faccia la consueta procedura di recupero crediti, che poi ottenga il decreto ingiuntivo (il diritto al credito diciamo) ma che alla fine l’azienda debitrice si opponga aprendo un ulteriore giudizio – giudizio o causa di opposizione – che blocca la procedura di recupero. Nel frattempo e ciononostante, l’imprenditore scaltro può aprire un concordato – “finto” – per pregiudicare i recuperi di tutti i creditori e a quel punto dichiarare il fallimento. In questo modo i decreti opposti potrebbero essere valutati negativamente dal Giudice fallimentare perché appunto non certi o comunque non più accertati vista l’opposizione.

Nella giungla, i denti si affilano quando si tratta di centinaia di migliaia di Euro e al contempo si affinano anche le tutele anzi le armi del contrattacco della giustizia.

Il Decreto in discorso, pertanto, stabilisce la retrodatazione del periodo sospetto al momento di apertura della procedura di concordato preventivo il che è espressione del concetto di “consecuzione delle procedure concorsuali” quali fasi di un procedimento unitario a carico del medesimo imprenditore e integranti una medesima crisi economica di diversa gradazione. E’ quindi possibile avviare un’azione revocatoria fallimentare (atto col quale si annullano le ultime attività dell’imprenditore), anche rispetto a beni già precedentemente esclusi con il concordato e, quindi, sin dal giorno del fallimento stesso. Su tale principio, e già da tempo, l’orientamento della giurisprudenza era peraltro concorde.

A tal fine, dunque, la sentenza di fallimento può contenere un accertamento con valenza di giudicato nel successivo giudizio revocatorio (del fatto cioè che il debitore si trovasse in stato d’insolvenza al momento della pronuncia del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo) e, in assenza di tale accertamento, qualora al concordato preventivo segua il fallimento, è possibile legittimamente presumere che il debitore si trovasse sin dall’inizio in stato d’insolvenza, come comprovato appunto dalla sopravvenienza del fallimento medesimo.

E’ così che, in sostanza, si è espresso il Tribunale di Monza nel decreto in commento anche se, purtroppo, la decisione riguarda pur sempre la risoluzione di un caso specifico che non si può applicare sempre a tutti gli altri.

In particolare, il Tribunale richiama una pronuncia della Suprema Corte (Cass. n. 18437/2010-9) secondo cui: “Qualora a seguito di una verifica a posteriori venga accertato, con la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, che lo stato di crisi in base al quale ha chiesto l’ammissione al concordato preventivo era in realtà uno stato di insolvenza, l’efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento, intervenuta a seguito della declaratoria di inammissibilità della domanda di concordato preventivo, deve essere retrodatata alla data di presentazione di tale domanda, atteso che la ritenuta definitività anche dell’insolvenza che è alla base della procedura minore, come comprovata, ex post, dalla sopravvenienza del fallimento, e, quindi, l’identità del presupposto, porta ad escludere la possibilità di ammettere, in tal caso, l’autonomia delle due procedure”.

In sintesi, la procedura è come se venisse fusa in un unico e solo procedimento volto ad accertare tutti i rapporti attuali e pregressi intrattenuti dall’imprenditore con i propri partners e, quindi, a cercare di assicurare una migliore parità di trattamento giuridico a favore di tutti i creditori coinvolti.