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Ecomostro di Aresta, null’altro che un ricordo

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Ecomostro di Aresta, null’altro che un ricordo

Per avere un’idea della nutrita schiera di mostri che abitano il nostro subconscio, basta chiedere lumi ai bambini lasciati anche solo per un minuto in qualche intercapedine di oscurità.

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Ti parleranno, allora, alle nostre latitudini, di MariaLonga che, come i serpenti di Laocoonte, ti avvinghierà coi suoi chilometrici capelli per scaraventarti in fondo al pozzo; dell’Uomo Nero che ti tiene per un anno intero per poi crocifiggerti in un crocicchio di paura; del Munaciello  che quando non porta soldi e non è di indole benigna, ti entra nell’anima e si impossessa della sua veste peggiore.

Agli abitanti di Petina e non solo, da ormai sedici, lunghi anni, il termine “mostro” evoca una sola presenza: l’ecomostro di Aresta, appollaiato con le sue propaggini di cemento e grigiore, proprio di fronte all’Osservatorio del  predetto comune dei Monti Alburni.

C’era una volta, principierà, allora, a raccontare il bambino legato a quei mostri del tempo che fu, la bruttura di Aresta.

Questo mostro fu costruito nel lontano 2001. Sotto la veste apparentemente utile del deposito di attrezzi agricoli (anche la strega di Biancaneve, a ben vedere, si presenta ai sette nani come un’innocua nonnina) si celava, fin dal principio, l’intento speculativo dello chalet all’ultimo grido.

Come? L’ecomostro non poteva essere costruito perché ricadente nel territorio del Parco?

Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito.

Cosa fatta, capo ha.

Fu aperto (i buoni, in ogni favola che si rispetti, prima o poi intervengono sempre), nel 2003, un procedimento penale a carico, tra gli altri, del direttore del Parco, architetto Nicoletti, al quale vennero contestati una serie di reati anche paesaggistici.

Il procedimento penale si prescrive (il tempo, a volte, sa essere canaglia) e l’ecomostro di Aresta, dapprima sequestrato, viene poi fatto oggetto di dissequestro e consegnato al comune di Petina che, quasi temendo i sortilegi che le presenze demoniache sanno evocare, si è guardato bene dal riqualificarlo.

Arrivano i nostri.

Il Codacons Campania, per iniziativa indefessa e meritoria dell’Avv. Maria Cristina Rizzo del Foro di Salerno, ha diffidato il Parco nazionale del Cilento ad abbattere la struttura incriminata, trattandosi di un’opera incompiuta che deturpa l’ambiente (si trova, infatti, in un lussureggiante pianoro di una suggestione unica).

Ebbene, il giorno in cui l’ecomostro di Aresta avvertirà la dentellatura della ruspa affondare nel suo substrato di interessi e di illegalità, è stato fissato in mercoledì 22 marzo 2017.

C’era una volta. 

Gli abitanti di Petina, e non solo, potranno confinare, come gli Argonauti riuscirono a fare con le fetenti Arpie nelle grotte, il mostro che ha offuscato per ben sedici anni il loro orizzonte di legalità, nel dimenticatoio di una vecchia storia di speculazione e abusivismo.

Il bellissimo pianoro di fronte all’Osservatorio di Petina gonfia il petto inorgoglito della ritrovata fruibilità. E assieme con esso, l’Avv. Maria Cristina Rizzo, dopo aver ringraziato il Presidente del Parco Tommaso Pellegrino e, ovviamente, il Codacons Campania, declama, con la vista finalmente libera dalla maledizione dell’ecomostro, il “Tra nuvole e terra/d’improvviso/il sole/ depositò il suo uovo sodo” di Pablo Neruda.

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