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Storia della Miniatura

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Storia della Miniatura
Messale Francescano

Storia della Miniatura
Messale francescano

Di Salerno
A Cura di Stefano Esposito

Ignoto
Messale, detto francescano (Capone 1929: Cod. 2)
Secc. XIII-XIV, ultimi decenni-1317 post
cm. 34 x 24 (foglio); 35 x 24 x 10 (copertina) – Pergamena scritta con inchiostri policromi e miniata. Rilegato in pelle.

Si tratta, come avverte la notazione (f. 1r), tracciata a penna con inchiostro rosso, di un Ordo Missarum Fratruum Minorum, secundum consuetudinem Romanae Curiae.
Il codice si compone di 378 carte, numerate con cifre arabe sul recto nel margine esterno di testa e scritte in doppia colonna con inchiostro nero (rosso per rubriche), caratteri gotici ed abbreviazioni.

 

 

Miniatura dal Messale Francescano

Questi fogli sono preceduti da altri sei, numerati co9n inchiostro bruno in cifre romane in alto al centro, con il calendario romano.
Altri sei, cartacei e moderni, sono di guardia.
In coda ad una sezione originale, contenente il testo del Messale, è aggiunto un altro fascicolo (ff. 371r-378v) più recente.
Oltre al gran numero di lettere ornate e filigranate disposte in corrispondenza delle divisioni secondarie del testo, venti capilettera policromi, anche se alcuni sono solo disegnati ed altri appena iniziati, illustrano il Mistero celebrato in quel giorno.
Le iniziali ornate sono campite su un fondo quadrangolare di colore blu animato da motivi aniconici bianchi.
“Il corpo delle lettere è arricchito da piccoli inserti geometrico in oro mentre il fondo a campitura piatta è movimentato da tralci arabescati più o meno articolati dai quali germinano foglie di diverso tipo.
Dall’estremità delle iniziali si sviluppano delle brevi propaggini fitomorfe con minuti petali o foglie lanceolate.
Nel bas-de-page si estendono dei tralci dall’andatura sinuosa arricchiti da ibridi e mascheroni” [CHIRIVÌ 2006, 259].
L’opera segnalata dal Toesca [1927, II, 967.1135], è stata riportata al 1290 ca. e attribuita [BOLOGNA 1955,25 e 1969,91] al “Maestro del Messale di Deruta”, di area umbra cimabuesca, che ne curò le miniature.
A questo autore “informato sugli esiti delle ricerche condotte tra Roma ed assisi negli ultimi decenni del XIII secolo”, per l’assoluta uniformità tecnico stilistica delle illustrazioni [CHIRIVÌ, 2006,260], è stata ricondotta però solo la prima sezione, mentre ad un secondo “maestro do formazione transalpina che traccia le sue scarne figure con un tratto corsivo e assai sommario” sarebbe da attribuire l’aggiunta, eseguita dopo il 1317, anno della canonizzazione di Ludovico d’Angiò [CHIRIVÌ 2006, 263-264].
La Perriccioli Saggese [2000,395], che ha segnalato il fascicolo di coda, ha infatti avvicinato le illustrazioni in essi contenute alle opere attribuite ad una fiorente bottega di transalpini portatori nella Corte di Roberto d’Angiò delle più innovative esperienze artistiche elaborate in patria che precedono l’affermarsi nel linguaggio miniatorio napoletano della lezione giottesca.
“Questa circolazione artistica di tipo francesizzante e centroitaliana evidenzia una spinta vivacità culturale, soprattutto negli ultimi decenni del XIII secolo e agli inizi del XIV, significando che Salerno tende a scavalcare la capitale Napoli e a proporsi come centro autonomo.
Quasi certamente una simile parentesi non è dovuta al rifiorire di spinte locali, perché, come ben sii sa, sono anni di forti tensioni soprattutto in campo ecclesiastico,.
La motivazione, come si accennava in precedenza va, con maggiore probabilità, ricercata nella assegnazione della città,al principe ereditario, che le conferisce una dignità alla pari con la capitale, sollecitando una serie di interventi che incidono in profondità nell’ambiente culturale cittadino” [BRACA 2000,201].
Un indizio più certo sulla sua origine è contenuto sul f. 170r, all’inizio del Canone, come di consueto in opere del genere, è raffigurata quasi a tutta pagina una Crocifissione (cm. 15,5×18,5).
Riprodotta da Pietro Toesca e da questi [1927,II,1070] annoverata fra quelle “probabilmente fiorentine”, o in genere toscane, (perché) sorpassano […] la maniera bolognese, lasciandone i duri contrasti”, questa immagine sarebbe “comparabile alla croce di Coppo di Marcovaldo nel duomo di Pistoia” e affine al “Messale” della Biblioteca Laurenziana di Firenze (Conv. Soppr. 233) e all’altro, definito”cimabuesco”, della Biblioteca Casanatense di Roma (cod. 1900).
Per Ferdinando Bologna [1955,24-24; 1969,16], invece, “nessun punto di contatto reale può essere rinvenuto tra il “Messale” di Salerno e questi due “citati dal Toesca.
Egli ravvisa nella nostra immagine, “annoverata fra i capolavori della miniatura del Duecento”, piuttosto forma protocimasbuesca, letteralmente sovrapponibile a quella (f. 119v) dio un altro famoso codice, pure francescano, conservato nella Biblioteca civica di Deruta, presso Perugia; attribuendola perciò “in modo palmare” [BOLOGNA 1969,91] allo stesso miniatore, detto Maestro del Messale di Deruta (ca. 1280-85).
Per lo storico aquilano il Codice di Deruta “fu eseguito sicuramente in Umbria, probabilmente nella regione di Spoleto, in un momento molto precoce della diffusione della cultura cimabuesca.
Più tardi, con modi più ricchi e aggiornati sulle opere eseguite da Cimabue nel transetto di Assisi, lo stesso maestro compì le miniature del “messale di Salerno” [BOLOGNA 1969,II-18].
Inoltre il Cristo del nostro Messale “rammenta piuttosto le croci gigantesche dell’Umbria dal Crocifisso di Northampton a quelli del “Blue Crucifix Master” [BOLOGNA 1955,24] e “mostra un’affinità impressionante” [BOLOGNA 1996,91] anche con il Cristo della Crocifissione che il cardinale Filippo Mintutolo fece affrescare (1285-90) nella cappella del Duomo di Napoli.
Un affresco eseguito “in un momento più avanzato, come prova tra l’altro l’aureola che rispunta sotto l’ascella del Cristo [BOLOGNA 1969,II-19].
Ma Bologna, seguito dal Rotili [1976,50], Aceto [1982,109] e da Leone de Castris [1986, 467], scrivendo che “Filippo Minutolo, avanti di ascendere all’arcivescovado dio Napoli, era stato arcivescovo di Salerno” [BOLOGNA 1969,91], mostra di confonderli con il Filippo Capuano, che fu presule salernitano, dal 1286 al 1298; anche se un Minutolo, ma di nome Orso, Canonico diacono della Chiesa napoletana, morto nella città partenopea alla fine del 1333 e ivi sepolto nel Duomo di san Gennaro, fui creato arcivescovo di Salerno nel 1330.
Il Messale è stato qualificato come francescano dall’incipit e dalle annotazioni al margine riportate sui ff. 80r, 37r, 370v e 376v.
Alcune di esse hanno fatto supporre una sua appartenenza ad un convento salernitano di quell’Ordine [CAPONE 1929,257].
A parte che furono soprattutto i Frati Minori a diffondere, durante le loro “missioni” popolari, l’uso del Missale secundum consuetudinem Curiae, “tale comunità, però non doveva essere salernitana, né meridionale, perché nella commendatio finale del preconio avremmo dovuto trovare Respice…regem nostrum e non imperatorem nostrum.
Federico II, infatti, nel 1212 aveva promesso a Innocenzo III di tener separata la corona di Sicilia dall’Impero e sua lui che i suoi successori furono considerati re e non imperatori in Salerno e nel Mezzogiorno” [CARUCCI 1971,58].
“L’ingresso del codice nel corredo librario della cattedrale salernitana potrebbe essere legato al francescano di origini francesi, Arnold Royal, arcivescovo di Salerno dal 1321-1330 [CHIRIVÌ 2006,191.264], cui la stessa autrice assegna anche la committenza di una sezione del Pontificale salernitano.
Egli era Maestro di teologia a Parigi, quando fu elevato alla cattedra salernitana da Giovanni XXII, il 30 aprile 1321,.
Venne poi trasferito alla cattedra dio Sarlat il 27 giugno 1330 [CRISCI 2001,I,248].
Dall’annotazione a penna nel margine esterno del f,. 176 r si deduce che nel 1555 il codice dovette trovarsi nel Duomo.
Ricorda, infatti semplicemente che: A dì 1 […] 1555, il padre Domenico Masso, Guardiano de sc. Sv (San Severino?) Francescano di Salerno, venne co li suoi fratelli a li post vespere de Archiepiscopo Ieronimo Siripanno, scomunicato – Io Pietro Naccarella absolvi pro dicto Archiepiscopo.
Lo stesso Canonico Naccarella in un’altra annotazione nel margine nel margine inferiore del f. 80r scriveva:
a li 1559, del mese di dicembre adi 13, Archiepiscopo de salerno Jeronimo Siripanno comando et ordeno a domino Roberto grillo, como a primigile (primicerio) et a domino Andrea Alfano che havessero accomodate et ordinato le robriche del breviario nostro salernitano…che avisse accomodate et abriviate multe cose, che erano trascritte.
I nomi del Seripando, arcivescovo dal 1554 al 1563 e dei presbiteri che “furono canonici della Primaziale dal 1549 al 1564, come si rileva dal Cedolario del Capitolo [CAPONE 1929,257], riportano dalla metà del XVI secolo; invece le illustrazioni alla cultura umbro- laziale degli ultimi decenni del XIII, data quindi della confezione del manufatto.
Più di recente, alle miniature indicate dal Bologna (Crocifissione di Salerno e di Deruta), è stata comparata anche l’analoga di in un altro Messale (Biblioteca Vaticana, ms. Reg. lat. 2048).
La Chirivì [2006,261-262] accosta altre scene salernitane, raffigurano L’Ascensione e la Natività (ff. 192v e 285v) alle analoghe vignette contenute nel Messale di Deruta e aggiunte altri riferimenti del Messale salernitano cobn il graduale della Biblioteca Capitolare di Perugia (ms 16).
Ella, però, aggiunge “resta comunque aperta la questione importante sulla quale oggi non sono ancora in grado di dare una risposta che riguarda il luogo di produzione e la destinazione originaria del codice:
vale a dire, questo manoscritto p stato importato nel Mezzogiorno d’Italia, è un dono offerto da un personaggio illustre e facoltoso ad un ecclesiastico meridionale, oppure è stato eseguito ab antiquo per una chiesa meridionale?
E in questo caso, è stato confezionata a Salerno o forse a Napoli?
Due annotazioni apposte ai margini delle cc. 80r e 176v ci informano che il manoscritto si trovava a Salerno intorno alla metà del Cinquecento (Fig. 223).
Oggi possiamo forse spingerci oltre questo dato ormai acquisito dagli studi, e ipotizzare, la sua presenza in città già nei primi ani del Trecento, come sembra suggerire la lettura del testo trascritto nel fascicolo aggiunto in coda al manoscritto” [CHIRIVÌ 2006,262-263].
Infatti ritratti ospitati con le iniziali delle collette per le Commemorazioni di San Luigi IX di Francia (canonizzato nel 1297), del nipote San Ludovico da Tolosa (canonizzato nel 1317) e la scena (una comunione) introduttiva alla festa del Corpus Domini (istituita da Urbano IV nel 1264), qui riportati rispettivamente riportati ai ff. 372r, 373r e 374v, sembrano indicare un inserimento postumo, rispetto al resto del volume, avallato da aspetti stilistici che paiono accogliere echi transalpini.
A queste considerazioni sempre la Chirivì aggiunge “L’inserimento dell’orazione dedicata alla traslazione dell’apostolo Matteo lascia credere che il codice sia stato adeguato agli usi liturgici della chiesa salernitana, entrando a far parte del suo corredo librario relativamente presto.
Queste carte attestano il forte legame che si era venuto a creare tra lo scorcio del XIII secolo e l’inizio fella politica culturale adottata a corte” [CHIRIVÌ 2006,263].
Oggi, dopo l’ultimo restauro si presenta rilegato in pelle rossa con dieci borchie di ottone brunito, bindelle in cuoio con puntale e tenone.
La rilegatura precedente è conservata a parte.