Home Cultura Speciale Alberto Sordi: storia di un italiano “quasi” simpatico (gli anni Settanta)

Speciale Alberto Sordi: storia di un italiano “quasi” simpatico (gli anni Settanta)

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Speciale Alberto Sordi: storia di un italiano “quasi” simpatico (gli anni Settanta)

Lo speciale su Alberto Sordi termina con gli anni ’70. Questo percorso è iniziato con gli anni ’50, si è soffermato sulla commedia all’italiana e arriva agli anni ’70, non perché l’attore si sia fermato ma per una scelta meditata alla base di questo approfondimento. Lo scopo non era far rivivere Sordi in tutta la sua filmografia né di selezionare alcuni film che hanno segnato la sua intera carriera ma abbiamo voluto mostrare l’evoluzione del “personaggio” (tutto italiano) prima della commedia (anni ’60), in cui raggiunge la sua forma perfetta, e ci è sembrato poi opportuno riflettere insieme su cosa rimane e cosa cambia di Sordi, riflesso della società italiana, subito dopo l’esplosione artistica della commedia all’italiana.

La commedia all’italiana nasce e si eclissa con Mario Monicelli (La grande guerra 1959, Un borghese piccolo piccolo 1977). La sagacia con cui si descrive la realtà italiana diventa, man mano, tragica consapevolezza di appartenere ad una società “individualista”, malsana e terribile. Nel 1974, Alberto Sordi dirige ed interpreta Finché c’è guerra c’è speranza, film poco riuscito, troppo schematico ma che riesce a mettere in evidenza quell’italiano meschino, crudele, indifferente ed egoista, pronto a tutto pur di dare alla propria famiglia il lusso che la società dei consumi impone giorno dopo giorno. Sordi è un trafficante d’armi, che vive praticamente fuori di casa, compra una villa alla sua famiglia composta da una moglie dedita soltanto al gioco con i suoi amici, e tre figli apatici, così lontani da quei figli eroici degli anni ’40. L’Italia è un paese cambiato troppo in fretta. Un padre di famiglia, che accetta di fare un mestiere rischioso pur di ancorare la sua famiglia al benessere, viene incastrato da un giornalista, portandolo a confrontarsi con la moglie e i figli perché derisi dagli altri. Sordi potrà rinunciare al suo sporco mestiere ma la sua famiglia lo accetterà fino in fondo? La sua vita continuerà come sempre, e tutto sarà spolverato via.

Precedentemente, nel 1971, Sordi aveva interpretato due film molto significativi: Detenuto in attesa di giudizio (Nanni Loy) e Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata (Luigi Zampa). Con il primo film, da un’idea dell’attore e di Sergio Amidei, Nanni Loy entra nelle carceri e ci mostra come un uomo innocente sia vittima di un sistema che agisce senza scrupoli e professionalità. Alberto Sordi è un italiano che vive e lavora in Svizzera, decide di portare la sua famiglia a conoscere il suo amato paese, quando viene fermato alla frontiera per controlli e catapultato, senza alcuna spiegazione, in carcere. Lascia la moglie e il figlio soli e comincia la sua disavventura. Lo scenario è realistico e scioccante. Condizioni igienico-sanitarie squallide, i pasti talmente pessimi da essere rifiutati da tutti, punizioni violente, un direttore del carcere (Lino Banfi) inconcepibile, risultato di un’Italia che ha aperto le porte ai più furbi ed incapaci. La forza del film sta nel mostrare un uomo innocente e disorientato, distrutto psicologicamente dallo stato in cui si ritrova, il quale cerca in tutti i modi di non perdere mai l’educazione e la raffinatezza nei suoi atteggiamenti, non smettere di credere nella giustizia. È quel fatale sogno di ogni italiano che pensa al proprio paese come un luogo bello, giusto, accogliente e sano. È la visione idilliaca dell’italiano che ha emigrato e che vive un legame inscindibile con la terra madre. Sordi riuscirà dopo molto a lasciare il carcere, giudicato da un avvocato che ha “addirittura” rimandato le vacanze per affrontare il suo caso; perché forse è troppo grande (e ridicolo) l’alibi costruito per giustificare un errore burocratico che ha portato Giuseppe Di Noi all’arresto.

La sofferenza dell’italiano emigrato ritorna nel film di Luigi Zampa, in cui Sordi è un cinquantenne ingenuo e dall’aspetto trasandato, che dopo diversi anni di lavoro e di vita moderata in Australia, prova a trovare una compagna. Il suo desiderio, che è lo stesso di molti italiani all’estero, è di sposare una compaesana (ovviamente) perché simbolo di purezza e serietà; è la donna dai valori sani, bella e buona, materna, e contenitore delle tradizioni italiane.

Il modo per incontrare un’italiana è la lettera con foto. Questa volta Sordi si finge bello, mettendo il suo nome sulla foto di un suo amico molto affascinante. L’inganno va a buon fine. Claudia Cardinale arriva in Australia ma all’aeroporto trova il bruttone e non l’uomo della foto. Il loro viaggio insieme diventa l’occasione per conoscersi. I due si sposeranno. La Cardinale lo accetterà a malincuore mentre Sordi lo vivrà con la semplicità e l’ingenuità che lo caratterizza; è convinto di essere un marito perfetto, offrendo una casetta, uno stipendio e una vita onesta (non è quella mentalità “tipica” della società italiana più provinciale e figlia del Fascismo? L’Italia non è quel paese eternamente provinciale?). La donna che lo affianca non è però quello che lui aspettava, perché viene dalla realtà della prostituzione e ha “usato” il matrimonio in Australia per fuggire dal suo destino. Il volto dell’Italia negli anni ’70 è davvero cambiato, e ora si deve accettare l’inadeguatezza dell’italiano nella società moderna. L’idea che il popolo italiano ha del proprio paese è spesso poco coerente con la realtà. Sia al cittadino che all’emigrato, l’Italia appare come un mondo incantato, dove si possono trovare ancora valori importanti. Confrontarsi poi con la triste realtà è terribile. C’è chi lo “accetta” e chi ne soffre ma nessuno riesce a separarsi dall’Italia; è una sorta di legame edipico.

L’ultimo film di questo lungo percorso è Un borghese piccolo piccolo (1977), che segna la fine della commedia all’italiana. Alberto Sordi è il padre di un ragazzo poco avvezzo alla vita, un ragioniere appena diplomato che può accedere ai concorsi e prendere quel posto statale fisso, tanto ambito dall’italiano “medio” (e quindi da suo padre). A casa c’è una strana donna che fa da moglie e madre che, rinchiusa tra le mura buie e claustrofobiche, passa le sue noiose giornate a guardare la televisione. Sordi lavora per il ministero da 30 anni, è ha l’illusione/presunzione di poter sistemare il figlio, per essere stato un lavoratore assiduo e onesto dello Stato. Il giorno in cui il figlio deve fare gli esami, il cui risultato è stato già ben architettato dal padre accettando anche di passare all’Ordine Massonico come chiesto dal suo direttore, accade però la tragedia. Durante una rapina il figlio rimane ucciso. È una delle scene più agghiaccianti del cinema di Monicelli, in cui Sordi interpreta così intensamente, e realmente, da far commuovere. L’evento porta i coniugi Vivaldi alla rovina psicologica, al decadimento. La moglie rimane scioccata dalla notizia rimanendo paralizzata, mentre Sordi invecchiato improvvisamente di vent’anni, vive con pigrizia e rassegnazione i suoi giorni alla ricerca di giustizia per il figlio, sia giuridicamente che spiritualmente, non avendo ancora una sepoltura al cimitero per il sovraffollamento. Il cinema italiano sta svelando un nuovo volto, in cui emerge quell’italiano individualista ed egoista, che sarà punito dalle sue stesse azioni. È come se Giovanni Vivaldi, peccando di tracotanza (volendo a tutti costi essere ripagato dallo Stato per il suo impegno lavorativo), avesse però – inconsciamente – calpestato i diritti degli altri, alimentando quel sistema ormai deleterio (la raccomandazione) per l’Italia. Si farà giustizia da solo quando, incontrando il ragazzo che ha sparato al figlio, decide di ucciderlo con le sue stesse mani per poi mangiarci su.

Gli elementi di orrore che ci sono in questo film anticipano il cinema degli anni ’80 e, in qualche modo, anche l’horror italiano. Il borghese Vivaldi è piccolo, perché uccide il ragazzo con freddezza e lucidità (consapevole, forse, dell’inefficienza della giustizia italiana), è piccolo piccolo, perché ha la forza di nasconderlo, e di continuare a “vendicarsi” (di una vita vissuta con mediocrità) di chiunque sia in grado di notare la sua mediocrità.

Gli anni ’70 sono, con Alberto Sordi, il viaggio disincantato in un paese che, deluso dalla propria cultura e dalle tradizioni, dalla politica e dal sistema “all’italiana”, ne fa emergere un individualismo sfrenato e macabro, di uomini e donne pronte a tutto pur di fare il salto di qualità, di apparire migliori, più ricchi, più adeguati, e più italiani degli altri. Gli italiani hanno ormai sviluppato il culto della materialità (il denaro, le ville, le vacanze…) ma restano pur sempre le vittime di se stessi, in conflitto tra la voglia di entrare nella società dei consumi e nel mito dell’Italia post-guerra, e il basso provincialismo che li accomuna. Alberto Sordi ha sul suo viso il dolore di essere l’attore che incarna “meglio” la sconfitta dell’italiano, mostrando quanto il suo lato più positivo sia stato divorato dall’urgenza di sorpassare l’altro e tutti. Il volto è rugoso, sofferente, stanco, rassegnato. Ci racconta in tutte le sue espressioni, nei suoi sorrisi appena accennati, nelle sue “smorfie”, la triste constatazione di un paese in una crisi stratificata.

Quanto è moderno e vicino a noi Alberto Sordi? Lo è più di quanto possiamo immaginare.

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Laureata in D.A.M.S presso l'Università di Udine, giornalista pubblicista, curo da un anno la rubrica ZONmovie con un bel gruppo di collaboratori. Cerchiamo di seguire gli interessi dei lettori, ma allo stesso modo vogliamo garantire i contenuti, sempre ben argomentati e fondati rispetto a ciò di cui parliamo. Analizziamo la rubrica in relazione all'arte, all'animazione americana e seguiamo le migliori serieTv e, con speciali dedicati, offriamo retrospettive sulle serie più attese. Inoltre, anche la nuovissima rubrica "Dal libro allo schermo" garantisce una pluralità di contenuti. Non solo. ZONmovie propone anche una sezione dedicata alla WebSerie, con appuntamenti settimanali.