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Shoah: all’Unisa si parla di L’Industria di Caino e Giovanni Palatucci

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Shoah: all’Unisa si parla di L’Industria di Caino e Giovanni Palatucci

Shoah, raccontare per ricordare: la presentazione del libro L’Industria di Caino e il ricordo del “questore giusto” campano attraverso studi e testimonianze

Shoah, raccontare per ricordare è la rassegna dell’Università degli Studi Salerno che, mercoledì 16 aprile, nell’Aula dei Consigli dell’Ateneo ha presentato L’Industria di Caino, libro a cura di Vincenzo Raimondo Greco.

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L’incontro di Shoah, raccontare per ricordare, nella sua seconda parte, è stato dedicato alla memoria di Giovanni Palatucci, “questore giusto” di origini campane, attraverso l’opera Capuozzo, accontenta questo ragazzo di Angelo Picariello, giornalista de L’Avvenire, e la testimonianza di Miriana Tramontina, profuga dalmato-giuliana.

Eduardo Scotti, giornalista del quotidiano La Repubblica, presenta al pubblico il libro sulla Shoah 1938-1945: L’industria di Caino passando la parola a Vincenzo Raimondo Greco, giornalista presso l’Ufficio Stampa dell’Ateneo salernitano.

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“Caino – sono queste le parole di Greco – è il primo omicida della storia che non immaginava di diventare un ispiratore del male”. Hitler è infatti diventato il “Caino seriale” ispirandosi a lui e avviando in modo scientifico l’assassinio di un’intera popolazione. Prima di Hitler, come ricorda Greco, ci sono stati gli indiani d’America, i russi, i messicani, i ruandesi. La storia è piena di drammi come quello della Shoah.

La novità apportata da Hitler, ben evidenziata nel libro, è invece l’organizzazione di un apparato burocratico, scientifico e medico dell’omicidio degli ebrei, alla cui base c’è una forma mentis derivata dalla crisi della Grande Guerra. Un aspetto di L’industria di Caino è, secondo Greco, l’interesse per la fine dei seguaci di Hitler e, soprattutto, per come viene vissuta la memoria della Shoah in Italia e in Germania.

ShoahEduardo Scotti, riconoscendo la capacità di Vincenzo Raimondo Greco nel mettere insieme il gruppo di studenti redattori di L’Industria di Caino, definita “monumentale”, passa la parola a Gianpaolo D’Elia, che ha dato uno dei contributi maggiori all’opera.
Oltre agli studenti (Claudia Contaldi, Gianpaolo D’Elia, Chiara Benedetta Gonetti, Rita Di Simone, Giovanna Di Troia, Alessandra Gonzales, Luca Mautone, Paolo Rocca Comite Mascambruno, Michaela Sica, Salvatore Tancovici) è da ricordare, inoltre, l’importante contributo dei docenti Luca Cerchiai, Francesco Lucrezi e Luigino Rossi.

Lavorare a questo libro – afferma D’Elia – non è stato semplice”. Per realizzare il libro sono state intervistate parecchie persone, si è parlato con storici e giornalisti che nel corso degli anni si sono occupati degli argomenti. “Dapprima abbiamo ascoltato – continua D’Elia – poi abbiamo visionato il materiale edito e, infine, abbiamo prodotto il libro che, in 15 capitoli, sviscera il fenomeno nazista dal ’38 al ’45. Partendo dall’antisemitismo prima dell’ascesa di Hitler e dal negazionismo, abbiamo analizzato come si arrivi all’idea che l’ebreo è la persona da eliminare”.

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Particolare attenzione è stata dedicata allo studio del rapporto tra propaganda e cinema, del ruolo dello sport  e delle vittime della Shoah omosessuali e disabili. “Molto spesso – sono queste le parole di D’Elia – ci si sofferma senza spiegare la scientificità e l’industrialità del fenomeno, noi invece lo abbiamo fatto per comprendere meglio gli altri stermini che hanno coinvolto altri continenti”.

A conclusione del suo intervento, D’Elia ricorda quanto sia importante all’interno dell’opera la parte dedicata alla dimensione campana dell’internamento con il campo di Campagna.

ShoahCon questo è introdotto l’altro argomento dell’incontro: Giovanni Palatucci. Prima di passare la parola agli ospiti che analizzano la figura del questore giusto, Eduardo Scotti fa notare, con esempi dal mondo cinematografico riguardanti la Shoah, che “La guardia resta alta di fronte a questi pericoli e a questi orrori“.

Nonostante l’attenzione che l’Italia riserva alla Shoah, Scotti ricorda che la Germania, diversamente dalla nostra patria, ha fatto i conti con il suo passato con un “Bagno di umiltà profondo”.

ShoahLa parola passa ad Angelo Picariello, ospite di Shoah, raccontare per ricordare con il libro sulla vita di Giovanni Palatucci Capuozzo, accontenta questo ragazzo, da leggere per avere un’idea del funzionario campano dello stato.
Giovanni Palatucci – sono queste le parole di Picariello – non era una persona che aveva studiato per diventare un eroe”. Palatucci era un ragazzo nato a Montella (AV) entrato in polizia a Genova, nonostante la sua passione per la magistratura.
Detestando la polizia troppo dedita alla burocrazia e non alle persone, litiga con il questore che lo manda nel 1937 a Fiume come addetto all’ufficio stranieri per il suo atto di ribellione.
Arrivato a Fiume, Giovanni allontana dalla città tutti gli ebrei diretti ai campi di concentramento, creando il “canale di Fiume” attraverso cui gli ebrei trovavano la salvezza.

ShoahQuella di Palatucci – afferma Picariello – è una storia che non si finisce mai di raccontare“. Il titolo del libro di Picariello, ricordando l’incontro con il brigadiere Capuozzo a cui Palatucci fa cadere un biglietto con su scritto “Capuozzo, accontenta questo ragazzo”, mostra come fino alla fine egli abbia pensato agli altri e non a se stesso, anche immediatamente prima del suo trasferimento nel campo di concentramento.
Grazie all’opera di Picariello riusciamo, infatti, a conoscere la storia poco conosciuta di Palatucci “Per amore della verità e non per partito preso“.
Infine, la parola passa a Miriana Tramontina per la sua testimonianza. Abitando a poca distanza dalla casa di  Palatucci a Fiume, spiega chi era realmente grazie anche ai racconti nel campo profughi di sua zia. Il racconto di Miriana tocca la tragedia delle foibe, di cui Palatucci già sapeva, sempre secondo la testimonianza della zia,  nel ’43.
ShoahGiovanni Palatucci, secondo la profuga dalmato-giuliana e attraverso il racconto della convivenza degli ebrei con i fiumani, non ha salvato solo gli ebrei, ma anche gli italiani di ideologia contraria, perché  “Non esistevano nemici, ma solo fratelli per Giovanni“.
Dalla testimonianza di Tramontina a Shoah, raccontare per ricordare, Giovanni Palatucci appare come “Un uomo che è riuscito, con crisi di coscienza, a negare ciò che era chiamato a fare e invece non ha fatto”.

Con l’invito ad approfondire l’amore che si trasmette nell’universo, di cui Giovanni Palatucci è il simbolo, si conclude l’incontro di Shoah, raccontare per ricordare.