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Diritto di critica politica, diritto di cronaca e diffamazione, il commento dell’avvocato Luca Monaco

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Diritto di critica politica, diritto di cronaca e diffamazione, il commento dell’avvocato Luca Monaco

La Suprema Corte di Cassazione, Sez. 5 Penale, con la sentenza n. 25518/2017 ha affrontato lan problematica relativa alla configurabilità del reato di diffamazione a mezzo stampa e ai limiti di operatività della esimente del diritto di critica, ex art. 51 c.p., con particolare riguardo alla critica politica. Il commento dell’avvocato penalista Luca Monaco

A cura dell’ Avv. Luca MONACO

L’agone politico è caratterizzato di frequente dal reciproco scambio di invettive tra le diverse componenti partitiche che, soprattutto nel periodo della campagna elettorale, rischiano talvolta di assumere le connotazioni dell’insulto, dell’aggressione verbale, e di culminare in querele con le relative vicissitudini processuali in sede penale.

Non è agevole, spesso, distinguere tra la legittima espressione della propria opinione, ancorché connotata di caratteri negativi (il diritto di critica), e la illecita esternazione di affermazioni offensive e gravemente lesive della dignità del destinatario, suscettibili di integrare il delitto di diffamazione.

La Suprema Corte di Cassazione, Sez. 5 Penale, con la sentenza n. 25518/2017, che ci si accinge a commentare, ha affrontato l’ancestrale problematica relativa alla configurabilità del reato di diffamazione a mezzo stampa e ai limiti di operatività della esimente del diritto di critica, ex art. 51 c.p., con particolare riguardo alla critica politica. La Corte di Appello territorialmente competente, riformando la sentenza di primo grado, aveva assolto l’imputato, un Consigliere Comunale, accusato di diffamazione, per avere, nel corso di una seduta del Consiglio, addebitato la responsabilità politica di un tragico evento storico, culminato nello sterminio di un gruppo di partigiani appartenenti a una Brigata di ispirazione cattolica, liberale e monarchica, a un defunto deputato del Partito Comunista Italiano e responsabile regionale, all’epoca dell’evento storico in discorso, del medesimo partito.

Senza dilungarci troppo nella vicenda storica, per privilegiare invece l’esposizione della disamina ermeneutica dei Giudici di legittimità, giova accennare che l’imputato, nel contestare alla maggioranza consiliare di avere dedicato una strada cittadina al politico scomparso ma di essere inerte, viceversa, nel rivolgere un analogo tributo ai martiri dell’eccidio, coloriva il proprio intervento addebitando, in una prospettiva critica “a contrario”, la responsabilità politica di quel massacro all’ex deputato scomparso, per enfatizzare negativamente la presunta indifferenza della maggioranza politica in Consiglio Comunale rispetto alla richiesta di omaggiare del nome di una strada anche le vittime del tragico evento

Gli eredi dell’ex deputato comunista e l’A.N.P.I, Associazione Nazionale Partigiani d’ Italia, costituitisi parti civili nei giudizi di merito, proponevano ricorso per cassazione, contestando, tra gli altri motivi di gravame, l’erronea applicazione degli articoli 595 e 51 c.p., ritenendo non operante nel caso di specie l’esimente del diritto di critica. I Giudici di legittimità, pertanto, eseguivano una preliminare e analitica scansione dei presupposti per la configurabilità delle esimenti del diritto di critica e del diritto di cronaca, individuandone le rispettive peculiarità e differenze.

Invero, il diritto di critica, a prescindere dalle variegate articolazioni in cui può manifestarsi (diritto di critica politica, giudiziaria, sportiva, storica, scientifica), si sostanzia, per sua natura, in un’opinione personale; ciò induce inevitabilmente a distinguerlo dal diritto di cronaca. Il diritto di critica, infatti, presuppone una valutazione dei fatti, sia essa negativa o positiva, mentre il diritto di cronaca consiste nella mera narrazione degli stessi, di talché, è il ragionamento della Suprema Corte, mentre nel secondo la verità degli accadimenti raccontati assurge a fondamento della esimente, nel diritto di critica tale requisito degraderebbe a mero presupposto.

In buona sostanza, entrambe le fattispecie necessitano certamente, per la loro operatività di esimenti, di una base fattuale veritiera, congiuntamente all’interesse generale alla conoscenza del fatto e alla continenza verbale, non potendosi in ogni caso attribuire a terze persone condotte che non hanno posto in essere, ma il fatto raccontato potrà essere suscettibile di una caratterizzazione soggettiva da parte del “criticante”, purché non ne infici il contenuto nella sua dimensione materiale. Nell’ambito della dialettica politica, l’alveo di operatività della esimente del diritto di critica deve essere, pertanto, anche più ampio, in quanto il rispetto della verità assume una rilevanza meno pregnante rispetto al differente diritto di cronaca, che deve invece porsi in maniera rigorosa e asettica.

Sul punto, i Giudici di legittimità distinguevano tra “giudizi di fatto” e “giudizi di valore”, puntualizzando che mentre l’esistenza del fatto storico è suscettibile di essere dimostrata, il giudizio di valore è ontologicamente incompatibile con la prova della veridicità in quanto esso si sostanzia sempre in una congettura soggettiva che, in quanto tale, non è confinabile nei più rigidi confini dell’oggettività empirica. Nel caso di specie, la qualità rivestita dall’imputato (Consigliere Comunale), allorquando ha pronunciato la frase “incriminata”, il luogo in cui è intervenuto (il Consiglio Comunale) e l’oggetto dell’intervento, inducevano sia la Corte di Appello che la Corte di legittimità a ritenere che la frase dallo stesso pronunciata rientrasse nell’alveo dell’esimente del diritto di critica politica e, dunque, non fosse penalmente perseguibile ai sensi dell’art. 51 c.p..

Ciò alla stregua, altresì, della considerazione per la quale la vera destinataria della critica fosse la maggioranza politica del Consiglio Comunale, inerte rispetto alla richiesta dell’imputato di dedicare una strada anche ai martiri e che, inoltre, l’ espressione utilizzata non andasse oltre “un giudizio di contiguità ideologica fra il partito all’epoca diretto dal defunto on.le (omissis) e neppure con i responsabili diretti della strage, bensì con i loro ispiratori d’oltre confine” (i comunisti jugoslavi), ponendosi come un giudizio di valore, legittimo in quanto non disancorato comunque da una base fattuale e storica considerata veritiera dalla Corte, ovvero la contiguità ideologica tra i comunisti jugoslavi e il partito del deputato defunto, per un verso, e i contatti fra i primi e il Partito Comunista Regionale sotto altro profilo.

In conclusione, l’esimente del diritto di critica politica non autorizza certamente l’attribuzione a terzi di fatti non veritieri né l’insulto ma preserva la libertà di conferire connotazioni critiche, negative o positive, a un fatto o a un evento, indirizzando chi le ascolta in un senso o nell’altro, purché esse siano supportate sempre da una base fattuale veritiera, dall’ interesse generale alla conoscenza del fatto e dalla continenza verbale