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Cinepanettone addio, la svolta di Colpi di fulmine

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Cinepanettone addio, la svolta di Colpi di fulmine

Non arriva più a Natale, ma molto prima; non ci sono più i vecchi attori impegnati in viaggi nei luoghi più impensati del pianeta, ma miniepisodi come la cara vecchia commedia italiana degli anni ’50; non ci sono più donne seminude, ma ricerca (seppur davvero minima) nella scrittura, nell’interpretazione. Svolta quella di Colpi di fulmine, film pre-natalizio diretto da Neri Parenti e che cerca di spostare la tradizione del cinepanettone verso uno sguardo più attento (strano a dirsi) al passato, seppur cerando di mettere i paletti per una nuova tradizione cinematografica. Ed è al passato del papà Vittorio che, molto probabilmente, va l’omaggio (mal gestito e ingenuo) di Christian De Sica (ormai nella stessa parte da anni, con il suo piglio aristocratico-coatto che, a lungo andare, ha portato, ormai, all’esasperazione) nel primo episodio del film, Il prete, dove, per guai con la legge, toglie il camice da psichiatra e veste quelli del clero (ne I due marescialli, il padre aveva fatto lo stesso, scambiando gli abiti con il ladro Totò), trasferendosi in un ridente paesino del Trentino dove una improbabile Perpetua (Arisa, pessima e goffa, cerca di fare il verso all’immensa Tina Pica di Pane, amore e fantasia) e un ragazzo di chiesa muto (Simone Barbato, anche lui inutile, forse era meglio restare da Bonolis), lo aiuteranno a mettere i bastoni fra le ruote del matrimonio di un maresciallo dei carabinieri (Luisa Ranieri) di cui De Sica si è “fulmineamente” innamorato.

Molto più interessante il secondo episodio con Lillo&Greg (nome d’arte di Pasquale Petrolo e Claudio Gregori), dove un autista coatto (Lillo), deve insegnare il “coattese” a un ambasciatore della Santa Sede (Greg), che si è innamorato follemente di una pescivendola (Anna Foglietta). Scritto leggermente meglio, è tutto impostato su equivoci linguistici e verbali, che richiamano non solo gli sketch surreali del duo, ma anche molta tradizione cabarettistica della tv degli anni ’80. Ma criticare questo cinepanettoncino sarebbe fin troppo facile. Tralasciando la faciloneria e la prevedibilità del soggetto e della sceneggiatura, il film non pecca di piccola critica alla società “morale” odierna e gli si deve comunque dar conto della temerarietà del cambiamento: tornare alla vecchia commedia, (fatta con meno stile è vero) e a episodi, concentrandosi su un filo conduttore: l’amore a prima vista. Un film in cui non ci sono Belen o altre forme “corporali”, e si prova, a dare “forma” a qualcosa di nuovo, alla commedia italiana, naturalmente malamente, senza smuovere un minimo di emozione. Ma la domanda forse è: invece di cambiare la formula, non si dovrebbe, forse, cercare di “cambiare” pubblico?