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Cilento, Valle dell’Angelo porta in scena la storia di San Barbato

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Cilento, Valle dell’Angelo porta in scena la storia di San Barbato

Cilento, il ritrovamento di corrispondenze illustri e di un vecchio manoscritto consente la messa in scena sul palco della storia di San Barbato

Cilento, il teatro all’aperto è piccolo, ma sembra non riuscire a contenere tutti gli abitanti presenti. Ci si fa un po’ di posto a fatica, ci si saluta, si tiene il tono della voce basso con la consapevolezza che disturbare gli attori è un attimo. Quella che alcuni cittadini volenterosi hanno messo in scena è un’opera teatrale che è stata scritta antecedentemente alla prima guerra mondiale. La penna è quella del Canonico Don Barbato Iannuzzi, che oggi ha regalato il suo nome all’associazione che porta avanti il culto di San Barbato, cuore della vita del paese più piccolo dell’intero Cilento e forse d’Italia: Valle dell’Angelo.

La compagnia è di appassionatissimi dilettanti. I costumi sono stati realizzati con la vendita di biglietti che serviranno poi per un’estrazione, stessa cosa vale per le scenografie. In quel piccolo spazio si conoscono tutti e fra il palco e l’improvvisata platea è tutto uno scambio di sorrisi, qualche volta di coretti entusiati rivolti agli attori più che ai personaggi. Ringraziamenti al sindaco del borgo Salvatore Iannuzzi, che si è prodigato per la realizzazione del palco sul quale si è esibito il cast, e all’Onorevole Tino Iannuzzi, presente tra gli spettatori. La storia che riguarda l’opera, invece, ce la spiega la “regista” davanti ad un caffè.

Il manoscritto

Tutto parte da alcuni ritrovamenti nella casa di famiglia che diverso tempo prima era appartenuta al Canonico di Valle dell’Angelo. Diverse lettere con soldati e personaggi illustri: fra questi figura Matilde Serao. Fra le missive spunta un manoscritto che risulta essere un’opera teatrale scritta quando il Canonico era uno studente. Rossella Iannuzzi, che ha messo in piedi il cast e tutto lo spettacolo, ha ricopiato di suo pugno le parole scritte allora per poterle portare in scena. 

La trama è questa: San Barbato – ora patrono del piccolo paese – cerca di convertire la popolazione di Benevento e di contrastare il culto del Noce, effettuato con la convinzione che serva a contrastare l’attività delle streghe. Qualche minuto speso a guardare il sipario e un paio di errori hanno reso la rappresentazione ancora di più patrimonio sentito di questo paesino piccolo che in inverno lotta per restare in vita in attesa che l’estate riporti “a casa” chi passa il resto dell’anno a girare per il mondo. Perché la sua gente potrà mettere radici in Germania, in Messico, in Olanda, negli Stati Uniti o anche solo in giro per l’Italia, ma alla fine torna e siede nel piccolo anfiteatro per sorridere davanti alla figura dei compaesani vestiti da Santi. Perché c’è qualcosa, anche nella difesa della storia di certe tradizioni, che sembra non poter morire e nulla ha a che fare con la vita del borgo: è lo spirito. C’è qualcosa che i suoi cittadini maturano dentro respirando l’aria delle montagne che hanno davanti e quello può solo viaggiare nel mondo senza però mai sparire.