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Caliendo, l’ultimo dei liutai napoletani

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Caliendo, l’ultimo dei liutai napoletani

Ciro Caliendo: erede della tradizionale liuteria napoletana, il Maestro Caliendo ci ha raccontato la storia della sua antica attività

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Quando l’arte e i mestieri incontrano la tradizione, nascono gli eredi di un mondo sopravvissuto, come il Maestro Ciro Caliendo, rigoroso continuatore dell’antica liuteria napoletana.

Ciro Caliendo, autentico figlio d’arte, cresce cullandosi nella complessità della musica alla quale si appassiona sin dalla tenera età. Una passione ereditata dal padre, il compositore e musicista Salvatore Caliendo, e trasmessa direttamente dal cuore alle mani. Saranno proprio le sue “mani sapienti”, stendardo dei veri artigiani, a suggellare quel fortuito incontro con il Maestro Vincenzo Annarumma, che cambierà radicalmente il percorso della sua vita.

Ciro Caliendonon è solo l’erede di un modo di costruire quasi abbandonato, ma è soprattutto testimone di un mondo per noi quasi inimmaginabile, fatto di lenta passione, pazienza ed eccellenza.

Il mondo a cui appartiene sopravvive ancora nel suo piccolo e prezioso laboratorio, uno scrigno di ricordi che dicono il paradosso di un’attività abbandonata ma ancora viva.

Il Maestro Caliendo ci ha accompagnato alla scoperta della storia della liuteria attraverso il racconto di vecchi aneddoti e mostrandoci da vicino la sua attività.

Ci spieghi come è iniziato il suo lavoro di liutaio.

Il mio inizio è stato particolare. Io sono figlio d’arte, mio padre, Salvatore Caliendo, è stato un grandissimo musicista, se la sua vita non avesse incontrato la guerra a quest’ora sarebbe un personaggio dello stesso calibro di grandi nomi come Riccardo Muti o Salvatore Accardo. Ho sempre avuto una grande curiosità per la musica, non solo dal punto di vista pratico diventando un musicista, ma avevo bisogno di andare più a fondo, volevo di più. Ho studiato pianoforte, ho studiato armonia, i miei studi sulla ricerca armonica ad esempio non sono mai finiti, ancora oggi quando posso ripesco dei vecchi volumi di quando frequentavo l’università e li riguardo.

Lei ha frequentato il DAMS ?

Io, si, ho frequentato il DAMS e all’epoca era molto duro. Ho avuto docenti come Donatoni, Leydi, Rognoni, professori che oggi davvero rimpiangiamo e che purtroppo molti giovani che studiano storia della musica, non conoscono. Questa è la dimensione musicale da cui provengo e il passaggio alla liuteria, al legno, è stato suggellato da un incontro importantissimo avvenuto con i miei maestri, Vincenzo Annarumma e il figlio Mariano. Don Vincenzo era un personaggio particolare nell’ambiente, aveva un occhio attento ed era in grado di riconoscere le pietre preziosi originali dai falsi, non ho idea di come facesse. Era una sorta di stregone, ecco. La morte di mio padre ha sicuramente influito molto, sentivo la necessità di non abbandonare il mondo della musica dopo la sua scomparsa e per questo decisi di studiare seriamente. Un giorno mi si ruppe la chitarra classica e chiedendo a chi potessi rivolgermi, mi fu indicato questo vecchio liutaio che all’epoca aveva sede a Torrione, ed era Vincenzo Annarumma. Quando andai da lui, mentre stavo per appoggiare lo strumento sul tavolo, lui mi chiese di mostrargli le mani e mi disse: “Tu sei il figlio di Salvatore Caliendo”, e io ovviamente rimasi completamente scioccato.  Poi scoprii che tra la famiglia Annarumma e la famiglia Caliendo, c’era un antico legame di amicizia. Purtroppo Don Vincenzo morì nel ’76, e da lì conobbi il figlio Mariano che è stata una delle persone più importanti della mia vita.

Quindi lei non ha avuto modo di lavorare direttamente con Vincenzo Annarumma ?

Si, da quando portai lo strumento ad aggiustare, ed era l’anno 1974, ho fatto una sorta di apprendistato fino al 1976. Non era un apprendistato di tipo strettamente tecnico e manuale, ma ho avuto la grande fortuna di imparare osservando il lavoro di Don Vincenzo e i restauri fatti al fior fior della liuteria napoletana del ‘700. La bellezza di quegli anni è che ho avuto la possibilità di vedere alcuni degli strumenti più belli a cassa aperta, adesso per non aprire gli strumenti ci sono le sonde, ma prima bisognava essere molto cauti. Io dico sempre infatti a chi vuole riparare uno strumento da sé, “è meglio un brutto colpo che un cattivo restauro”. Purtroppo Mariano morì nel ’92, e per non dimenticare né lui né il padre, io e qualche amico insieme a mia moglie, ci recammo lo stesso anno dal notaio e fondammo il Centro di Documentazione Organologica Vincenzo e Mariano Annarumma, con lo scopo di mantenere viva la memoria di queste due personalità. Sul mio sito “Archi al Sud” è riportato tutto, sia la mia storia che quella di Salvatore Caliendo, che il legame tra la famiglia Annarumma e la famiglia Caliendo. Vincenzo era famoso soprattutto perché si era formato all’interno dell’area della liuteria, mentre Mariano no, lavorava nelle ferrovie e non aveva avuto un vero apprendistato. Eppure suppliva a questa mancanza, grazie alla sua grande inventiva, era infatti dotato di una grande intelligenza e curiosità, ma soprattutto di una calma assoluta. Una cosa per cui lo prendevo in giro, bonariamente, era la sua lentezza, il suo continuo sfregare il legno senza scolpirlo. Questo gli portava una immane perdita di tempo, ma con gli anni ho capito che era un rito, una sorta di preghiera che faceva ogni notte. Ecco, questa è la differenza con voi giovani di oggi, che avete fretta. 

Maestro Caliendo, nonostante lei sia il testimone di un mondo dimenticato, esistono comunque attualmente delle scuole di liuteria?

Sulle scuole di liuteria ho dei miei pareri, non sempre positivi. Io sono convinto, per quanto conosca colleghi che hanno frequentato scuole di liuteria e di cui godo della massima stima, che il problema sia l’insegnare ad un ragazzo a fare qualcosa. Le scuole di liuteria non possono essere come le scuole di una qualsiasi professione. L’obiettivo per noi liutai non è solo realizzare una cosa, gli strumenti per noi sono dei libri, scritti in un linguaggio che non sempre si conosce. Fare uno strumento musicale non significa fare solo un bel riccio o una bella effe. Purtroppo in Italia le cose non funzionano bene, ci sono tanti ciarlatani in tutti i mestieri e anche nel mio, per questo appena ne ho avuto l’occasione ho cercato di far emergere l’eccellenza della tradizione napoletana e del mio lavoro, come nel 2006 quando sono andato a New York a mostrare i miei strumenti e ho avuto le mie soddisfazioni. Un’altra grande soddisfazione l’avrò quest’anno. Sarò infatti ospite dell’Expo 2015 di Milano a maggio e a ottobre e la mia presenza in questa sede prestigiosa sarà patrocinata dal Maestro Salvatore Accardo, che mi onora della sua stima e amicizia da molti anni (ha fatto la prefazione del mio ultimo libro). 

Lei lavora ancora con gli strumenti dei suoi maestri?

Dopo poco la scomparsa di Mariano Annarumma, la famiglia mi chiamò chiedendomi di prendere gli appunti, i disegni e le forme originali dei miei maestri. Io li presi, soprattutto per dare continuità a questa attività e in effetti qui, a casa mia, ho il laboratorio degli Annarumma. Grazie a questo lascito della famiglia ho avuto modo di studiare anche un preziosissimo quaderno su cui Don Vincenzo scrisse la formula della vernice di Postiglione che negli anni cercò di migliorare costantemente. Ecco io uso ancora queste vernici. Adesso nelle scuole di liuteria si lavora con vernici comprate o di media qualità ed è proprio questo il problema. Nella liuteria bisogna puntare all’eccellenza. Ormai infatti viviamo in un’epoca in cui si mira alla produzione, non alla qualità, per questo il nostro mestiere è in crisi. 

Probabilmente questo problema è dovuto anche al fatto che la musica stessa è stata distribuita a chiunque, infatti chiunque può comprare uno strumento musicale

E questo è un altro male, infatti. Stiamo parlando di un inganno di quest’epoca, quello della grande imprenditoria, ovvero considerare il cliente non più sullo stesso piano del venditore, ma come il pollo da spennare. Molte persone credono di vedere nelle vetrine dei negozi dei veri violini, ma non è vero. 

Maestro Caliendo, per quanto riguarda il legno, che cosa usa e perché.

Sulla questione del legno sono irremovibile, uso il legno che dicono abbia sempre usato Stradivari per le tavole armoniche ovvero l’abete rosso maschio di risonanza della Val di Fiemme mentre per tutto il resto uso un acero dei Balcani. A differenza di liutai che mirano al mercato, che usano legno più belli e appariscenti possibile, io uso quello che suona meglio. Ora si punta solo all’estetica, i mercanti guardano solo la bellezza dello strumento, quasi mai ho visto qualcuno suonarli. Purtroppo in questo campo c’è molto dilettantismo, regna la pubblicità e le favole sul nostro mestiere. Ci sono dilettanti che credono nella favola della vernice di Stradivari, come se essa sola possa fare il capolavoro. Un mio ex allievo una volta mi chiese se avremmo lo stesso suono, la stessa musica, se fossimo in grado di replicare materiali e tecniche del ‘700. Io gli risposi di no, perché non ci sarebbe attorno lo stesso silenzio.

Foto del Maestro Caliendo a cura di: Federica Crispo

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