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Venuto al mondo, la guerra che racconta l’Amore

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Venuto al mondo, la guerra che racconta l’Amore

Sarajevo, 1984: Gemma, italiana impegnata negli studi, ha come guida Gojko, poeta serbo. Incontrerà Diego, fotografo, e scoppierà un amore incontrollabile, ma Gemma è sterile. I due decidono di mettere incinta Aska, ragazza che vuole lasciare la sua terra, e prendere il bambino (Pietro), pagandola. Dopo la guerra e la morte di Diego, Gojko cerca di nuovo Gemma: l’uomo le rileverà un segreto.  Le premesse non erano male: il bel romanzo, la multi produzione, gli attori hollywoodiani. Ma Sergio Castellitto dirige con poca sicurezza: prova a essere regista impegnato, quasi contemporaneo, con un uso della telecamera a spalla e inquadrature che fanno l’occhiolino a Garrone e Sorrentino, ma che non fanno altro, invece, che relegare le sequenze in una prevedibilità narrativa, nonostante i continui flashback e inserite malamente nel caos della guerra serbo-bosniaca. L’operazione “faccio tutto in famiglia” di Castellitto non dà buoni risultati: la Mazzantini scrive il libro, ne cura la sceneggiatura con il marito, che decide di passare alla regia; dopo Non ti muovere, viene riconfermata anche Penelope Cruz, che non solo recita malissimo, ma co-produce (nello staff c’è anche Eduardo Cruz, fratello di Penelope, musicista). La spina dolente, però, arriva con l’assegnazione di una delle parti più complesse dell’intero film a Pietro Castellitto, figlio di Sergio e Margaret, una sorta di bimbo alla recita di Natale, pessimo, incapace a comunicare qualsiasi emozione. Ottima, la prova di Emile Hirsch (Diego), che da Into the Wild è condannato a essere “vagabondo” alla ricerca della (propria) felicità.

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Comparsata anche per Luca De Filippo (padre di Gemma), che crea una sorta di legame storico con il ruolo che fu del padre in molti film post Seconda Guerra Mondiale. Anonimi gli altri attori, senza nessun tipo di sviluppo, intrappolati negli stereotipi bellici e doppiati malamente: Adnan Haskovic (Gojko), rozzo quanto basta e Saadet Aksoy (Aska), madre di Pietro, Madre di un conflitto, Madre che consegna a un’altra Madre il “frutto” della guerra, metafora (che poteva essere sviluppata meglio) che prenderà forma solo negli ultimi minuti del film. Il tentativo di raccontare il conflitto a Sarajevo, attraverso una storia d’amore, fallisce, tenendo in campo la seconda a discapito della prima, facendo rientrare il tutto nel canone del tv movie. Non basta ammazzare l’attore di turno che spinge una carrozzella a raccontare l’orrore bellico. Per chi decide di vivere la guerra serbo-bosniaca in maniera più raccapricciante, il consiglio è leggere Goražde. Area Protetta (2000) del fumettista Joe Sacco. Altro che una allegra famiglia in vacanza nelle isole della Serbia.