11 Giugno 2020 - 10:06

Elsa Morante: un’analisi del romanzo L’isola di Arturo

Elsa Morante l'isola di arturo

L’isola di Arturo è il romanzo con il quale Elsa Morante nel 1957 si è aggiudicata il prestigioso Premio Strega

Elsa Morante è universalmente considerata una delle più grandi narratrici del secondo dopoguerra. Nel 1957 con L’isola di Arturo è stata la prima donna nella storia ad essere insignita del Premio Strega. Lo stile dell’autrice si ispira a quello del romanzo ottocentesco sia russo che francese, in cui si mescolano elementi reali e immaginari e molto spazio viene dedicato all’introspezione psicologica dei personaggi.

Il realismo magico di Elsa Morante

L’isola di Arturo è un’opera che si pone a metà tra la favola e il romanzo di formazione. La storia è ambientata a Procida e si sviluppa in prima persona con la voce narrante dell’isolano Arturo Gerace. Arturo è un orfano di madre abbandonato a sé stesso a causa di un padre assente che lui idolatra. Un passo alla volta durante la narrazione assistiamo allo sviluppo e alla crescita di Arturo ripercorrendo le tappe della sua esistenza, dall’infanzia fin verso la vita adulta. La Morante attraverso l’incantata percezione della realtà del piccolo Arturo mette in scena un onirico realismo magico che caratterizza tutto il romanzo.

I sogni e la realtà

“Erano sempre dei sogni severi, che venivano a rinfacciarmi le amarezze della mia condizione, e a ritrattare, senza complimenti, le promesse a cui potevo aver creduto di giorno.” L’opera si dimostra essere un’eccezionale testimonianza sul tramonto dell’infanzia e delle illusioni. La Morante ci fa capire che il vero protagonista del romanzo è il disincanto. La disillusione che si presenta quando i sogni entrano a duro contatto con la realtà delle cose.

L’astrazione dell’amore

“Il fatto è che in generale, io ero tropo innamorato dell’innamoramento: questa è sempre stata la vera passione mia.” Arturo è un ragazzo che ancora non ha avuto modo di provare la sensazione di un amore che lo appaghi. L’innamoramento resta un’idea astratta in grado di generare soltanto frustrazione. Un sentimento lontano ed inavvicinabile quasi come se lui fosse destinato a vivere senza. Ed ecco come Arturo descrive questo malcontento in un suggestivo passaggio: “Guardavo quei due che si baciavano come si guarderebbe, da una barca solitaria nel mare, una terra inapprodabile, misteriosa ed incantata, piena di foglie e di fiori.” La Morante anche questa stavolta ci conduce nel percorso formativo del giovane che si arrende ad una verità fondamentale: “L’amore vero è così: non ha nessuno scopo e nessuna ragione, e non si sottomette a nessun potere fuorché alla grazia umana.”

La voglia di scappare

Arturo vuole andare via dall’isola. Ciò che sogna è di partire alla scoperta del mondo alla ricerca di un altrove che lo renda libero: “Ho sempre saputo che l’isola e quella mia primitiva felicità, non erano altro che un’imperfetta notte; e aspetto sempre che il mio giorno arrivi.” La sua mente è in attesa frenetica di avventure che non vede l’ora di vivere, senza mai smettere, come lui ricorda, di disprezzare ciò che non comprende: “La mia fantasia non saprà mai concepire la ristrettezza della morte.” Per raggiungere quel “giorno” tanto agognato Arturo alla fine capisce di dover partire non soltanto con la mente, ma di dover andare lontano. Alla fine del romanzo comprendiamo che la necessità di Arturo, di allontanarsi da ciò che è stato, è uno strumento ineludibile per poter diventare chi vuole davvero essere. Tutti noi dobbiamo quindi avere la forza in concreto di trasformare le nostre aspirazioni in qualcosa di tangibile.

Elsa Morante ci trasporta con Arturo Gerace in un onirico viaggio alla ricerca di sé stessi e della propria libertà. In un’isola che è metafora della nostra infanzia, destinata a terminare nel momento in cui in mare aperto saremo padroni del nostro viaggio e delle nostre scelte, navigando tra le onde della vita adulta.