14 Aprile 2020 - 19:13

Lo #Smartworking e il rischio Workaholism?

workaholism

Il workaholism è una patologia propria di persone che hanno una dipendenza dal lavoro. Questa parola è stata coniata per la prima volta da Wayne Oates nel 1971

Il termine workaholism deriva dalla fusione di due termini inglesi “work” e “alcoholism” perché le vittime hanno un atteggiamento compulsivo verso il lavoro proprio come gli alcolisti verso l’alcol.

Il workaholic ha un bisogno compulsivo e incontrollabile di lavorare incessantemente, fino ad arrivare a compromettere le relazioni interpersonali, nonché vita sociale.

E’ possibile individuare alcuni dei sintomi maggiormente riconosciuti in letteratura che in questo periodo potrebbero alimentarsi ed esacerbare il rischio di workaholism di un lavoratore?

L’obbligo di rimanere a casa comporta che le persone si dedichino più del dovuto all’attività lavorativa quando sono in smartworking.

L’ emergenza sociale non fa che favorire distorsioni e squilibri sulla vita privata e sociale che possono compromettere:

1)   Work life Balance. In questo periodo vi è alto rischio di compromettere il work life balance, perché il lavoro si intromette nella vita privata, senza più distinzione tra le due sfere. lavorare per molte ore

2)   Soddisfazione sul lavoro. L’iper-connettività che può derivare dall’utilizzo delle nuove tecnologie digitali, può compromettere la salute, esponendo i lavoratori a a maggiori rischi la salute fisica e mentale accrescendo patologie come burnout.

3)   Socialità: La pandemia non fa che accrescere le distanze sociali e affettive. Dopo una giornata trascorsa tra call conference e telefonate di lavoro, spesso si evita di chiamare amici o persone care perché ormai stressati dallo stare connessi continuamente.

Concentrandosi nel lavoro i giorni passano più velocemente e non si realizza lo scorrere del tempo. Fermarsi e pensare può causare dei disagi soprattutto in questo momento, in cui fare considerazioni sulla propria vita significa non solo riflettere su se stessi ma alimentare la consapevolezza che ancora per molto tempo dovremo fare i conti con un nuovo “nemico invisibile”.

Se ci si riconosce nelle caratteristiche sopra descritte bisognerebbe incidere sulla dimensione comportamentale più che affettiva nei confronti del lavoro, impegnandosi a:

1.   Separare la vita privata da quella lavorativa: al termine della giornata lavorativa, occorre disattivare tutte le notifiche di lavoro, dalle email ai messaggi sul cellulare, al fine di trovare momenti di rilassamento per recuperare energie.

2.   Trovare spazio e tempo libero: spendere l’attenzione e l’energia fisica e mentale in altre attività come quelle motorie o creative e culturali per evitare di impigrirsi e allo stesso tempo compiere attività che garantiscono il benessere psico-fisico;

3.   Coltivare le proprie relazioni sociali e affettive: nonostante le distanze, telefonare a una persona cara ha il potere di neutralizzare stati d’animo, e sensazioni scomode come ad esempio sentimenti di ansia, che nascono in questo particolare momento.

Nonostante il lavoro diventi un’attività che ci permette di proseguire la vita che stavamo facendo senza percepire un cambiamento radicale delle abitudini, è importante ricordare che per affacciarsi sul mondo, ci sono diverse alternative alle finestre aperte sul proprio desktop.

Articolo a cura di Maria Di Muro