29 Giugno 2015 - 19:53

Wardaddy: la storia di un antieroe

Wardaddy, nei panni di un moderno antieroe, guida Fury, un M4 Sherman dell’US Army, nella Normandia del 25 aprile 1945: un’ordinaria giornata di guerra di cinque soldati americani, di cinque sopravvissuti. Il secondo conflitto mondiale è quasi agli sgoccioli, ma la guerra sembra non finire mai

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Il 25 aprile, cinque giorni prima del suicidio di Hitler, l’esercito sovietico e quello statunitense si incontrano tagliando la Germania in due. Le notizie della resa totale giungeranno solo l’8 maggio con festeggiamenti in tutta l’Europa: 13 giorni dopo le sorti degli uomini di Fury. Una storia vera, che racconta di un M4 Sherman dell’US Army realmente esistito, e delle ingenti perdite umane dell’esercito americano.

Lo storico Fury del sergente Don "Wardaddy" Collier

Lo storico Fury del sergente Don “Wardaddy” Collier

Il nome Fury rappresenta uno spirito di punizione, derivato dal mito delle tre dee, le Furie, che maledicevano, torturavano i colpevoli, infliggevano carestie e pestilenze. La stessa furia della guerra che impazza, diventando quotidianità, oblio senza orrore. Quella di Fury è una storia che consuma, una vertigine compressa che attanaglia le viscere, un conto alla rovescia che separa dall’appuntamento con la morte. Guerra e vita come metafora intrinseca, resa magistralmente dal regista David Ayer, il quale dopo il servizio militare su un sottomarino del US Navy, debutta alla sceneggiatura nel 2000 portando la sua esperienza nel film U-571, con McConaughey e Bon Jovi.

Fury: Wardaddy e i suoi uomini

Fury: Wardaddy e i suoi uomini

Fury è la casa del sergente Don “Wardaddy” Collier (ruolo interpretato daBrad Pitt) e dei suoi quattro uomini: il capo cannoniere Boyd “Bibbia” Swan (il bravissimo Shia Labeouf protagonista di Disturbia, NymphomaniacTransformers); il caricatore Grady “Coon-Ass” Travis, l’autista Trini “Gordo” Garcia, e il nuovo acquisto, il giovanissimo dattilografo Norman, chiamato sul campo per subentrare ad un veterano di Fury, ucciso nell’ultima battaglia. Il sergente Don Collier, sopravvissuto con i suoi uomini al deserto africano, approdato sulle spiagge della Normandia, con Fury tenta l’impossibile contro i tedeschi e i loro Panzer VI Tiger I, i distruggi carri armati sviluppati in Germania nel 1942. La scena finale, come in apertura, ci riporta al carro armato Fury, danneggiato dall’esplosione di una mina, mentre rientra da una devastante ed importante battaglia proprio contro un tiger tedesco. In questo cruciale snodo stradale, da soli e fino all’ultimo, i cinque uomini di Fury lottano per fermare le truppe SS, facendone una carneficina: come “Bibbia” crede, Dio li ha tenuti in vita per affrontare un’ultima sfida, come garanzia di un mortale agguato all’avanzata tedesca.

Wardaddy con il suo StG 44

Wardaddy con il suo StG 44

Don “Wardaddy” Collier è un antieroe, ma ciò non lo rende meno umano: nella vita tutto sta nel capire da che parte stare e cosa può essere giustificato dai propri principi. Se non muore un tedesco morirà un americano, Wardaddy lo sa. Il nemico sono le SS, e l’odio nei loro confronti viene esteso ad ogni avversario arruolato ed armato, indipendentemente dalla sua età. Molti sono gli arcani che il film non mostra allo spettatore, ma che, svelati nello script, rendono più complesso e sfaccettato il personaggio interpretato da Brad Pitt. Ad esempio nello script Wardaddy accenna che sua madre è nata in un villaggio della Germania raso al suolo dalle SS: le sue origini spiegherebbero il suo tedesco fluente e il suo accentuato odio per i fanatismi che non riconosce in sé.

Antieroe per eccellenza, Wardaddy in una scena dello script, ricaricato il suo fucile d’assalto, un StG 44 – bottino di guerra di fabbricazione nazista – assume un atteggiamento irrispettoso e insensato nei confronti del cadavere di un bambino tedesco: ovviamente non ve ne è traccia nel film, perché avrebbe scioccato l’America.

Wardaddy

Wardaddy

Insomma fuori dal film, c’è una narrazione parallela, tragica e viscerale che delinea un personaggio con la luce spenta negli occhi: “anni di combattimento lo hanno trasformato in qualcosa di duro e tagliente”. Un personaggio dannato che in parte si tradisce nella scena di apertura, quando ad un superiore, in realtà un ragazzino con più alta carica, che non pensava fosse sopravvissuto, risponde: “Il diavolo veglia su di me con la sua ombra”. E proprio questa affermazione riconduce l’outsider Wardaddy ad Aldo Raine, personaggio interpretato nel 2009 da Brad Pitt in Bastardi senza gloria di Tarantino, ovviamente in una versione drammatizzata.

Wardaddy ha gravi cicatrici da ustioni lungo la schiena, anche queste spiegate nello script: non dovute alla guerra ma ad un avvenimento personale, che ne ha sconvolto l’esistenza. All’inizio della sceneggiatura, il sergente Collier parla di come il bere non risolva nulla; poi nel corso dello script si fa chiarezza su tale affermazione: alla guida, da ubriaco, Wardaddy era uscito illeso – a parte le ustioni – da un incidente e dal conseguente incendio dell’auto, in cui invece erano morti la sua ragazza e il fratello. Così a Wardaddy fu data la scelta del carcere o in alternativa quella del servizio militare.

Wardaddy, Norman e Emma

Wardaddy, Norman e Emma

Dopo l’iniziale conflittualità, Wardaddy mostra un fortissimo legame con Norman, suo alterego: un legame accennato nel film, in cui la consapevolezza e la durezza dell’uno si scontra con l’inesperienza e l’innocenza dell’altro; all’animo ribelle dell’uno risponde il conformismo e il ruolo “forzatamente” per bene dell’altro. Quasi un rapporto padre-figlio, che rappresenta un’ulteriore scoperta riservata alla lettura dello script: Norman è anche il nome del fratello morto di Don Wardaddy Collier. Questi retroscena spiegano l’attaccamento di Wardaddy a Fury, che non abbandona la sua posizione pur sapendo di andare incontro a morte certa: Fury è l’unica casa a cui ritornare, l’unica scelta giusta, legittimata dal morire con onore per la patria, piuttosto che vivere nel tormento dei propri demoni.

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