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Lo scrittore, questo sconosciuto!

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Lo scrittore, questo sconosciuto!

No ma, per dire, io ancora non ho capito come si faccia a diventare scrittore. Mi arrovello fino a perdere la proverbiale trebisonda, ma non c’è verso di raccapezzarmi

[ads2] Qualcuno, allora, mi potrebbe chiedere che cosa io intenda per scrittore. E sarebbe la domanda giusta visto che, dalla notte dei tempi, per voler far parte di una categoria occorre quanto meno averne una visione di insieme, di questa categoria; anche perché, diversamente, non so fino a che punto uno possa sentirsi legittimato, con lo sguardo gemebondo e trasognante, a  sospirare: “Ah, lo scrittore!”.

Ebbene, io, per scrittore, intendo un tizio che magari passi la giornata a zonzo, in una città qualsiasi dell’universo-mondo, per raccogliere sempre nuovi spunti di riflessione…beh, a pensarci bene, anche il vagabondo fa più o meno la stessa cosa.

Sì, ecco: lo scrittore è chi si sente e si atteggia a protagonista, potendo dire tutto quello che gli pare perché il suo verbo è un concentrato di ambrosia e di suggestioni paradisiache…: casella occupata, c’è già il politico di turno che si comporta alla stessa maniera.

Calma e gesso. Vediamo un po’…ci sono: lo scrittore può essere chi viaggia in una macchinona, sempre circondato da femmine sofisticate che si lasciano sedurre dall’arguzia dal suo essere personaggio…nooo, questo è il cantante impasticcato costruito dalla major discografica!

Va bene, accantoniamo per un attimo il problema dell’essere e concentriamoci sull’aspetto del fare (siamo pure in tema, visto che da più parti s’invoca “l’uomo del fare“).

Che sfaccimma, cioè, di azioni deve compiere lo scrittore per essere definito tale?

Sgomberiamo il campo da un immediato, pernicioso fraintendimento: per diventare scrittore, non necessariamente occorre scrivere bene. Sorpresi? Beh, basta guardare me (la modestia? La morte mia!).

Tutti dicono che le mie “cose” sono egregie, che la caratterizzazione dei personaggi “è la mia gardenia all’occhiello”; che,  ancora, “ho la cultura colta delle parole” (questa, a dire il vero, non è che l’abbia capita benissimo ma…è una cosa positiva, no?). Ciononostante, a parte qualche piccola soddisfazione editoriale, non c’è la faccio a raggiungere le vette del Parnaso (la vetrina della Feltrinelli, sul corso, a Roma); che poi, a dirla tutta, mi farei bastare anche un angolino della predetta vetrina, magari pure dietro, molto dietro, l’ultimo best seller di Fabio Volo.

Ma non divaghiamo.

snoopy scrittore

Quindi, dicevamo, non è condicio sine qua non, per assurgere al rango di scrittore, lo scrivere bene. Che poi, questa affermazione, oltre che dal mio lampante esempio personale (aridaglie!), viene corroborata anche da quanto si legge su alcuni siti di case editrici: “non è fondamentale saper scrivere in maniera perfetta (i correttori di bozze, altrimenti, che esisterebbero a fare?) quanto, piuttosto, avere cose originali da raccontare

Ebbene, a questo proposito, mi è capitato di leggere storie in cui si pigliano i classici due piccioni con una fava: far lavorare i correttori di bozze grazie a congiuntivi “alla comevieneviene” e, contestualmente, imbastire trame così originali che nemmeno un marziano tradotto a Saturno potrebbe tessere.

Pure io, del resto, adottando la tecnica spiegata da Saverio al professor Bellavista (invogliare il fratello a farsi i “pertusi” sul braccio e a “sbattersi” per farsi prendere nel “Collegio per i drogati” in cui “ti trovano pure un posto”), ho cercato di scrivere male e di narrare cose che mente umana non ha mai avuto ardire di raccontare. Come per il fratello di Saverio (“prufesso’, nun c’ riesce, è troppo ‘nu buono guaglione“), però, anch’io ho miseramente fallito: mi ostino a chinare il capo ai diktat della grammatica e a scrivere pagine comunque rientranti nell’umano sentire.

Ma mettiamo, per assurdo, che uno davvero riuscisse a infischiarsene delle regole della grammatica e a narrare cose turche in un paese nordico. Problema risolto? Macché, ci sarebbe sempre l’ultimo ostacolo, il terribile drago a guardia del vello d’oro, a separarci dall’immedesimazione con lo scrittore: il famigerato “contributo acquisto copie“, perché “l’editoria è in crisi” e quei soldi servono a “coprire, almeno parzialmente, le energie profuse nel lavoro di pubblicazione, promozione, etc., etc.”; e poi (continuando):”persino il genio di Proust  (!)ha iniziato autopubblicandosi”.

“Cosa buona e giusta – ti vien fatto di pensare – se anche Fantozzi, per avere il privilegio di continuare a lavorare (aggratis) per il megadirettoregalattico, gli versa l’intera pensione.”

A questo punto, solo et pensoso mi trovo, come mi capita frequentemente, a osservare la vetrina della libreria sotto casa. Stavolta però, soggiogato dal demone dello scrittore che continua, imperterrito, a celarsi ai miei occhi pur facendomi sentire la sua presenza, guardo quella festa di titoli con rinnovato spirito critico.

Accartoccio le palpebre, sintonizzo la mente.

Un’improvvisa illuminazione connette le mie sinapsi, anche quelle più periferiche.

Le ricette raffinate di miss Odette, Il miracolo della prestidigitazione, Il cuore con le ali appollaiato sul trespolo della mente….

Ecco chi è finalmente lo scrittore: la ragazza che tiene in mano un libercolo di un colore sommesso, che già pregusta la gioia di perdersi in quelle pagine ingrigite per la troppa lontananza dai clangori della vetrina ammiccante.

Ella, infatti, porterà quel romanzo a casa e, in groppa a qualche feconda suggestione letteraria, si nutrirà del distillato di quei caratteri di stampa, fino a renderne satolla l’anima. E sarà allora che, inoltratasi nelle lussureggianti praterie dell’immaginazione, avvertirà il bisogno insopprimibile di sedersi davanti al monitor di un pc. Inumidirà i propri polpastrelli con il calore della creazione, e inizierà a scrivere.

Ecco chi è, allora, lo scrittore. E’ un fervido sognatore che se ne frega del successo, delle strategie editoriali, dei soldi.

Lo scrittore è un dio di terza classe che si diverte a creare storie e a viverle come se anche quelle degli altri gli appartenessero.

E’ un ghiottone di anni che non si rassegna a consumare solo quelli che sono apparecchiati sulla sua tavola ma si diverte a spiluccare anche in quelli imbanditi sulle mense altrui.

Ordunque, sulla scorta di queste definizioni, posso tranquillamente affermare che anch’io lo sono. Anch’io sono, cioè,…un attimo che recupero lo sguardo gemebondo e trasognante…uno scrittore!