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Andrew, un enologo salernitano figlio del multiculturalismo

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Andrew, un enologo salernitano figlio del multiculturalismo

I lunedì di Ebasco continuano a dare i loro frutti.Un appuntamento fisso che sta dando vita a nuove dinamiche associative e di rete. Incontri che ci stanno offrendo la possibilità di conoscere nuove realtà e percorsi esperienziali che trovano visibilità attraverso questa rubrica.

Questa volta il nostro amico Andrew tra una valigia e un’altra rilascia la sua intervista per MulticulturalMente, che giunge alla sua undicesima pubblicazione.

–          Cosa evocano in te le parole “migrazioni” e “multiculturalismo”?

Mi chiamo Andrew e da sempre gli amici mi chiedono: “Adrea”? O a volte anche “Angelo”? Sarà per la pronuncia inglese che ho preso da mia madre. Sono cresciuto in una famiglia con due identità: italiana e britannica. Mio padre ha scelto di vivere una vita viaggiando ed è un amante del multiculturalismo, conosce anche lingue come l’arabo, il russo e il tedesco. Mia madre è di Wigan in provincia Manchester dove ha trascorso metà della sua vita. Ora viviamo a Salerno e in casa abbiamo sempre parlato due lingue. Lei ha sempre tenuto vive le sue radici dando un’educazione interculturale alla sua famiglia. In casa mia l’ora del thè è sacra, d’inverno e d’estate!

–          Se ti chiedessi di raccontarmi un episodio su questi due temi, cosa mi diresti?

Il pensiero vola al primo viaggio dopo l’Università: l’Australia. Alla ricerca di lavoro e di un’esperienza intercontinentale sono stato in un luogo caratterizzato da una cultura nuova, moderna, senza una storia millenaria. Un Paese dove si passa da realtà quasi europee, come nella città di Melbourne, a altri luoghi dove gli aborigeni (gli abitanti del posto) vivono nella natura incontaminata. Non ho conosciuto a fondo questa cultura, ma ho notato che gli autoctoni aborigeni subiscono una forte segregazione sociale. Sono state costruite metropoli ed hanno isolato queste popolazioni nel NorthenTerritory (Territorio del Nord), l’unico Stato australiano dove le loro terre non sono state espropriate o comprate. A differenza della cultura maori, conosciuta durante un altro viaggio di lavoro in Nuova Zelanda, gli aborigeni sembrano essere meno integrati nella società moderna e allo stesso tempo meno aiutata o tutelata da politiche d’integrazione.

Da quando ho finito il mio percorso universitario a Viterbo, ho vissuto in Australia, Nuova Zelanda, Irlanda e Francia sempre per motivi di lavoro. Le influenze familiari e la curiosità di conoscere altre realtà enologiche mi hanno spinto alla continua ricerca di nuovi luoghi e culture da scoprire. Ho conosciuto e convissuto con persone provenienti da ogni angolo del mondo che successivamente ho avuto il piacere di rincontrare in altri Paesi. Persone come Naomy conosciuta ad Adelaide e poi ritrovata a Montpellier in Francia. Un italiano e una neozelandese che si conoscono in Australia parlando in inglese e si ritrovano in un nuovo contesto che richiede un nuovo codice comunicativo: il francese. Che bello!

–          Credi si possa o si debba fare qualcosa per la conoscenza delle culture?

Aiutare, aumentare e fomentare gli scambi interculturali allargando la possibilità di viaggiare e conoscere le altre culture a chi non ha la possibilità di poterlo fare.

Da italiano mi rendo conto di essere avvantaggiato rispetto ad altre presone provenienti da altri parti del mondo. Attualmente amici spagnoli e dell’est dell’Europa non hanno la possibilità di chiedere un visto “viaggio lavoro”che permetta la permanenza di un anno in Australia e Nuova Zelanda. Tutto ciò per una questione legata a permessi e convenzioni che i singoli Paesi stipulano tra di loro. Anche nella stessa Comunità europea.

Credo che si debba avvantaggiare chiunque voglia viaggiare, in una maniera più equa e solidale, tanto in Europa quanto negli altri Continenti. Sto organizzando il prossimo viaggio e questa volta spero che sia la California. Dai primi contatti con le aziende vinicole locali sembra che le questioni legate all’immigrazione riguardino anche me e tutti gli “alleati” italiani. Sembra che le opzioni siano: o pago per un visto e annesse pratiche burocratiche oppure mi oriento verso i soliti escamotage.